“Vogliate bene a Umbria Jazz, possiamo fare tutti di più”

598
Gian Luca Laurenzi (a sinistra) con la Governatrice dell'Umbria, Donatella Tesei, e il Direttore artistico di Umbria Jazz, Carlo Pagnotta

A tu per tu con il presidente della Fondazone UJ, Gian Luca Laurenzi, a metà di un’edizione che resterà comunque nella storia

   

Di solito i bilanci si fanno alla fine. Ma sarà che questa rubrica è un po’ in controtendenza (altrimenti che “L’altra Umbria Jazz” sarebbe?) e sicuramente l’edizione 2021 di UJ è la più “strana” di sempre tra post-pandemia e percorsi in salita, fatto sta che giochiamo d’anticipo ed esattamente a metà strada della kermesse proviamo a fare il punto. Gian Luca Laurenzi, che mastica di jazz come pochi ed ha esperienza professionale e musicale da vendere, non si sottrae al gioco da vero capitano di una nave in questo caso lungi dall’affondare, ma chiaramente costretta a solcare mari tempestosi. In attesa della consueta conferenza stampa finale di Carlo Pagnotta, è dunque il Presidente della Fondazione di partecipazione Umbria Jazz a svelare i contenuti di una sorta di registro a partita doppia. Con l’aspetto economico tenuto però sempre in secondo piano.

Presidente, come procede UJ a metà del cammino?

“Se teniamo conto che abbiamo voluto realizzare istintivamente questa edizione a tutti i costi, gettando talvolta anche il cuore oltre la razionalità, pur consapevoli di tutte le difficoltà a cui saremmo andati incontro, direi bene. Era importante ripartire, per noi e per Perugia, senza perdere di vista il concetto che il settore spettacolo è stato quello più martoriato dalla pandemia e quello messo più a dura prova per rimettersi in moto. E’ presto per dire se abbiamo vinto una scommessa che potremmo definire azzardata, ma se ho letto anche su questa rubrica che parlate di “edizione dei miracoli” vuol dire che siamo sulla strada giusta”.

Anche se la città sembra spenta e l’arena presenta larghi vuoti?

“Beh vanno fatti dei distinguo e va analizzata bene la situazione. Intanto, pensare a fare raffronti con quella che fu l’edizione 2019 sarebbe una follia, sia dal dal punto di vista artistico che dei numeri. Il “Covid 19” ha cambiato tutto e non è una scusa. Così a fronte dei 40.000 biglietti staccati due anni fa, reputo un buonissimo traguardo averne venduti ad oggi, a metà rassegna, circa 6.000. Il sogno? Toccare da qui a domenica i 10.000 per arrivare ad una media di 1.000 spettatori a giornata, ma se non ci arriveremo non avremo comunque nulla da rimproverarci. E vi spiego il perché: i frequentatori stranieri del festival prima rappresentavano oltre il 50% del totale, mentre in questa tornata pur andando fortissimo all’estero attraverso i social in presenza non superano il 10%. Reggiamo stavolta grazie ai turisti italiani, ma capite bene che a mancare è la “linfa estera”, cosa su cui possiamo farci poco”.

Anche perché, volendo, il cartellone è di primo livello anche se in molti dicono sia fatto troppo di “puro jazz”.

“Non cadiamo nel tranello di vedere Umbria Jazz come una grande occasione per vedere al Santa Giuliana grandi nomi che magari per giustificare la loro presenza sperimentano questo genere in abbinamento alla propria musica. La cosa bella del jazz è che è nato proprio come esperimento, non è un genere “nativo”, ma si è costruito nel tempo con svariate contaminazioni e continua a crescere grazie ad esse: ogni grande artista ha un progetto che sfiora il jazz pur nelle sue innumerevoli declinazioni. Venendo a noi, il meglio che potevamo portare a Perugia lo abbiamo ottenuto, tenendo conto del fatto che molti non hanno ripreso, Herbie Hancock su tutti, o addirittura hanno annullato le proprie tournée e che la capienza massima di 1.700 posti regolarmente distanziati in Arena impone di fare i conti con i cachet degli artisti e il budget a nostra disposizione. Sfido chiunque, di questi tempi, a portare un monumento come Wynton Marsalis e una certa Cécile McLorin Salvant che ha vinto tre Grammy; abbiamo l’esordiente Samara Joy che a 19 anni rappresenta il futuro e l’Emmet Cohen Trio alla Sala Raffaello del Brufani fa il tutto esaurito ogni pomeriggio; e poi gli italiani: Petrella, Fresu, Rea. Devo continuare?”

No, d’accordo. Ma torniamo alla città. Il perugino intende Umbria Jazz in modo diverso da chi viene esclusivamente per i concerti…

“Sono il primo a dire che manca tutta una parte, quella più popolare, della manifestazione. Però vorrei che si capisse una volta per tutte che avevamo le mani legate su tanti fronti. Per esempio: ripercorrere la strada dei quattro concerti gratuiti in piazza IV Novembre come lo scorso anno non avrebbe avuto senso per avere 300 spettatori a sera, con un costo di 100.000 euro per garantire le normative anti-covid e magari avere contro tutti gli esercenti commerciali di quell’area costretti a chiudere alle 19.30 con gli accessi comunque limitati che significa togliere gente al centro. Figurarsi per dieci giorni… Così come mettere in cartellone una street-band come i Funk Off avrebbe significato applicare le regole di un palco, anche se fossero andati sulla terrazza di Palazzo Baldeschi in piazza della Repubblica con la gente inchiodata sotto alle seggiole. E di contro non puoi nemmeno improvvisare un flash mob, magari quotidiano, che lascia il tempo che trova”.

Ok, non è colpa vostra. Ma allora?

“Il fatto è che a fronte delle nostre rinunce ci sono poi situazioni dove tutto è ammesso. Adoro il calcio, ma i festeggiamenti in piazza per il Perugia in serie B e per la vittoria azzurra dell’Europeo parlano chiaro o le notti brave in alcune piazze ritrovo dei giovani: salta ogni regola e noi restiamo col cerino in mano perché dobbiamo rispettare ciò che in altre situazioni non si rispetta. Non è vittimismo, così come riconosciamo la disponibilità prestataci da Prefetto e Questore, ma così non va. Tornando alle “marching band”: qualcuno ci spieghi perché a Pescara, Pordenone, Rovigo hanno potuto sfilare e a Perugia no”.

Presidente Laurenzi, come concludiamo, anche per raggiungere gli obiettivi di cui ha parlato?

“Con un appello a cittadini e istituzioni: i perugini devono voler bene a Umbria Jazz. Ma non basta dirlo, va dimostrato. Da uomo, ma può valere il contrario, mi permetto di dire che la nostra manifestazione è come una bella donna: è inutile dire che si ama se poi non seguono i fatti. Tutti possiamo fare di più, compresi noi organizzatori, cercando di evitare che arrivi quel momento in cui ti accorgi che manca terribilmente qualcuno o qualcosa quando ormai non c’è più”.

Francesco Bircolotti