Umbria Jazz, il futuro riparte da San Francesco al Prato

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Ecco come si presentava la Chiesa di San Francesco al Prato nelle ore precedenti il concerto di Uri Caine (Foto Pasquale Punzi)

Umbria Jazz, il futuro riparte da San Francesco al Prato. Una location d’eccezione apre nuovi scenari per la manifestazione e il turismo della città. L’analisi di Giovanni Tarpani tra scelte strategiche per il centro storico e una visione internazionale delle iniziative culturali

   

di Francesco Bircolotti

E venne il giorno di San Francesco. Quello “al Prato”, naturalmente. La cui riapertura, con il concerto nella notte tra venerdì e sabato che ha visto l’esecuzione del progetto “Seven Dreams” ad opera del pianista Uri Caine e la partecipazione del suo trio (Mark Helias al contrabbasso e Clarence Penn alla batteria), della Umbria Jazz Orchestra e degli archi dell’Orchestra da Camera di Perugia, ha rappresentato l’evento nell’evento dell’edizione 2019 di Umbria Jazz.

Una inaugurazione storica per tutta la comunità perugina, naturalmente; ma anche per la manifestazione in sé, che ha potuto ritrovare uno spazio già utilizzato in passato con successo, nonostante la discontinuità dovuta alle troppe vicissitudini che hanno visto protagonista uno dei maggiori gioielli architettonici di Perugia.

La prima volta che la chiesa adiacente l’Oratorio di San Bernardino fu utilizzata come location privilegiata nell’ambito della kermesse jazzistica accadde infatti nel 1987, quando l’orchestra di Gil Evans seppe incantare. Poi, seguì una decina d’anni di concerti di assoluto livello prima che il terremoto rese inagibile la struttura per i danni riportati.

Foto di Pasquale Punzi

Ma è l’oggi che conta. Della magia notturna del “ri-esordio” e di quanto è emerso durante la presentazione dei lavori sono già piene le cronache. Dall’importo necessario per la loro conclusione (11 milioni di euro per cinque fasi di intervento) alle seggiole temporanee, visto che ci sono stati problemi e ricorsi relativamente alla gara d’appalto che avrebbe dovuto completare la platea con le sedute. Tuttavia, la riapertura della Chiesa di San Francesco al Prato costituisce un buon punto di partenza per guardare al futuro di Umbria Jazz, affrontando anche altri aspetti che in queste ore hanno creato divisioni nel dibattito in città per le problematicità insite negli stessi: dall’utilizzo (ed eventuali modifiche) degli spazi alla vivibilità del centro storico, dalle questioni di ordine pubblico agli elementi più propriamente culturali e musicali, dai risvolti di tipo economico a quelli legati all’immagine tanto del festival quanto della città. Provare a tratteggiare il futuro di UJ doveva però prescindere dal contributo di personaggi istituzionali, tanto legati alla kermesse, quanto alle poltrone, qualunque esse fossero. Chi meglio, allora, di Giovanni Tarpani per provare a capire vizi e virtù dell’evento e soprattutto prevedere le sue possibilità future, i margini di miglioramento, le necessità imprescindibili perché questo possa continuare a rappresentare la manifestazione più importante di Perugia?

Giovanni Tarpani, ex Segretario generale della Fondzione Umbria Jazz

Va subito detto, per chi non lo conoscesse, che il nostro “vate” non è proprio l’ultimo arrivato. Anzi.

Per anni e fino al 2011 è stato Segretario generale della Fondazione Umbria Jazz, ma in realtà era lì con Carlo Pagnotta a idearla e a farla crescere sin dagli anni ’70, occupandosi poi, nel corso del tempo, di aspetti specifici della comunicazione e della organizzazione degli eventi, soprattutto quelli che hanno portato la manifestazione a New Yok e, tramite progetti speciali, in Australia, Europa e Sudamerica. Ex Assessore comunale alla Cultura dal 1995 al 2000 al fianco del Sindaco Maddoli, oggi è funzionario dell’Ufficio comunicazione della Regione dell’Umbria.

Cominciamo proprio da San Francesco al Prato?

“Va bene. Del resto credo di essere parte in causa diretta del restauro. Perché fui io nel 1996 ad andare a Palazzo Chigi a presentare a Veltroni, allora Ministro dei Beni Culturali e Ambientali del primo governo Prodi, il progetto di restauro firmato dall’architetto Signorini, chiedendo di intercettare i contributi destinati ai beni culturali derivanti dal 10% dei proventi del gioco del Lotto. Il Decreto ministeriale ci assegnò 10 miliardi e 500 milioni delle vecchie lire, cifra che costituì una buona base di partenza per ristrutturare e cercare di trasformare la chiesa in un centro di cultura contemporanea che andasse al di là dell’attuale auditorium. Purtroppo, scherzandoci sopra ma non troppo, dico che c’è voluto meno tempo a costruire la Piramide di Cheope, ma è già qualcosa essere arrivati al traguardo. Spero di essere invitato in una prossima occasione per verificare se i lavori hanno rispettato quello che era il progetto originario oppure si è dato spazio ad altre scelte. L’mportante, comunque, è che sia stato restituito questo spazio alla città”.

foto Pasquale Punzi

Una città che vive di Umbria Jazz, almeno per un paio di settimane. Ma va tutto bene così?

“Sicuramente – risponde Tarpani – quella che volge al termine è una di quelle edizioni che si può annoverare tra le più positive, sia come pubblico che in relazione alla qualità artistica. Come tutte le cose, però, anche questo festival è perfettibile e probabilmente l’elemento da valutare meglio è relativo al fatto che il pubblico storico di UJ è arrivato all’apice e quindi è giunto il momento di ragionare sulla creazione di un nuovo pubblico, con soluzioni che incontrino la capacità di coinvolgere le generazioni più giovani e rivitalizzare quelle più consolidate. Poi c’è l’aspetto legato al posizionamento strategico rispetto al mercato pubblicitario, che ha bisogno di essere meglio regolato perché altrimenti sarà sempre più difficile reperire fondi privati in un’Italia che da più di dieci anni vive di crisi, con le aziende che per prima cosa tagliano gli investimenti pubblicitari. Bisognerà rendere più accessibile la manifestazione attraverso progetti mirati a creare e di conseguenza mantenere le relazioni industriali, ovvero fare in modo che le aziende non mettano solo il marchio da veicolare, ma intessano rapporti tra di loro per costruire nuove opportunità di lavoro con conseguenti ricadute positive”.

foto Pasquale Punzi

Tra le questioni più sentite e su cui ragionare per il futuro, c’è quella dell’Umbria Jazz ancora in centro oppure collocata in sedi decentrate, magari per “difendere” il centro stesso.

Cosa ne pensa Giovanni Tarpani?

“Per come la vedo io, è inimmaginabile un’Umbria Jazz fuori dal centro storico. A patto, però, che si tutelino le bellezze che lo compongono. Constatare, per esempio, che la Fontana Maggiore è soffocata da un palco che avrà pure necessità tecnologiche ma risulta eccessivo nelle dimensioni, significa avere il giusto spirito critico per rivedere alcune cose. Senza dimenticare le orribili strutture che affollano piazza Matteotti quando potrebbero essere collocate al Santa Giuliana e quelle tavolate lungo Corso Vannucci che ne hanno svilito l’identità. E’ chiaro che operatori commerciali e ristoratori debbano lavorare, ma non è più accettabile lo spettacolo che si vede ora, tra tavolini che hanno invaso ogni spazio e menù che cercano di attirare i clienti come fossimo al mercato”.

E l’accessibilità al centro storico durante il festival?

“Umbria Jazz è nata con l’obiettivo di portare turismo in anni in cui l’Umbria era totalmente isolata. Questa vocazione non va persa, ma se è vero che portare la manifestazione per esempio a Pian di Massiano significherebbe snaturarla, è altrettanto fondamentale affidare ad un grande architetto la progettazione di un centro storico più vivibile. Oltretutto non sarebbe un compito difficile, perché a fronte delle tante lamentele trovatemi una città in Europa con un maggiore numero di possibilità di accedere all’acropoli: minimetrò, mezzi pubblici (nonostante la riduzione recente che comunque non riguarda i mezzi turistici) e parcheggi non mancano, a sostegno di una tesi che personalmente deve prevedere la chiusura alle auto, come avviene in tutti centri storici del nostro continente. Umbria Jazz, secondo me ne trarrebbe vantaggio, al pari di tutti gli altri grandi eventi. Se poi si realizzeranno eventi di grosso spessore culturale, come per esempio la recente esposizione della Madonna Benois di Leonardo alla Galleria Nazionale dell’Umbria, il pubblico sarà sempre più qualificato, perché non servono solo i numeri. In questo Umbria Jazz sta insegnando molte cose, al di là dei biglietti venduti e degli incassi. Al pari del fatto che la città deve avere una visione internazionale, che rischia di non raggiungere se si continuerà ad organizzare eventi che guardano al passato. Anche in questo caso Umbria Jazz è un modello che deve essere preso ad esempio col suo bagaglio di proposte capaci di attrarre utenti da tutto il mondo”.

La ricetta di Tarpani per il futuro di Umbria Jazz e più in generale della vocazione turistica di Perugia si ferma qua. La sensazione è che ci sia molto da lavorare. Parole d’ordine: sinergia e unità d’intenti.