Malattie infiammatorie croniche intestinali: evoluzione delle terapie

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Malattie infiammatorie croniche intestinali: evoluzione delle terapie. L’introduzione di alcuni farmaci ha prospettato la reale possibilità di modificare la storia naturale della patologia

   

Il decorso clinico delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa, è quanto mai variabile. In circa la metà dei pazienti la malattia è caratterizzata da lunghi periodi di remissione, in circa il 20%dei soggetti si presenta con periodi di attività lieve, mentre nel 30% si mostra moderato-severa o cronicamente attiva. In questi ultimi casi l’andamento clinico porta ad una progressiva attività infiammatoria che determina un danno intestinale con comparsa di complicanze (ascessi, fistole, stenosi) che possono richiedere l’intervento chirurgico e, se non adeguatamente trattate e seguite nel tempo, portare ad una sempre maggiore disabilità. La prevalenza della malattia di Crohn e Colite Ulcerosa è in continuo incremento con 2,5-3 milioni di casi stimati in Europa ed almeno 200.000 in Italia. L’insorgenza in età fertile e lavorativa, la progressione cronica con periodiche riaccensioni, il verificarsi di importanti danni funzionali e disabilità, il frequente ricorso a valutazioni diagnostiche di monitoraggio clinico ed il progressivo costo della terapia, impongono al medico, anche se impegnato solo nel campo della diagnostica endoscopica, un aggiornamento continuo per conciliare appropriatezza e sostenibilità delle cure. L’obiettivo e l’orizzonte della terapia è completamente cambiato grazie alla possibilità di nuovi armi terapeutiche ma soprattutto della consapevolezza acquisita di quanto siano eterogenee queste condizioni cliniche e pertanto quanto diventi cruciale la diagnosi precoce, la stratificazione del rischio e la personalizzazione della terapia in termini di scelta e durata. L’endoscopia rimane sicuramente un cardine nella diagnosi e nel monitoraggio di queste patologie; non a caso l’evidenza più robusta in termini prognostici nella Colite Ulcerosa è la guarigione delle lesioni della mucosa.

Negli ultimi anni gli obiettivi terapeutici nelle malattie infiammatorie croniche intestinali si sono evoluti: dalla remissione clinica (solo controllo dei sintomi) si è giunti all’obiettivo di remissione completa che include la remissione clinica, la guarigione della mucosa intestinale e la normalizzazione degli indici di laboratorio (remissione biologica). La gestione delle IBD prevede un approccio complesso e multidisciplinare e tiene conto di diversi parametri clinici, bioumorali e strumentali. I principali biomarcatori studiati nelle IBD si suddividono in sierici e fecali. Tra i sierici abbiamo: Proteina C Reattiva (PCR), Grelina, Endotelina, IL-&, IL-7 Recettore Solubile del TNF, Auto-anticorpi e Anticorpi contro peptidi batterici (pANCA, ASCA, AMCA, ecc..), Neopterina, S100A12, Calprotectina. Tra i biomarker fecali abbiamo invece: Lattoferrina, Calprotectina, Proteina Cationica Eosinofila, Osteoprotegerina, M2 Piruvato Chinasi, Mieloperossidasi. Questi biomarcatori sono uno strumento non invasivo di supporto al clinico per valutare l’attività di malattia, la risposta ai trattamenti e per guidare il follow up anche nei pazienti sottoposti a chirurgia. Tra i marcatori fecali la Calprotectina fecale è la molecola maggiormente studiata. La quantificazione nelle feci di questa proteina neutrofila rappresenta una stima del grado di infiltrazione leucocitaria della parete intestinale, misurando quindi il grado di infiammazione. Questa proteina però non si altera specificatamente nelle IBD, ma anche in altre forme di flogosi intestinale (ad esempio nelle infezioni e nella diverticolite) e può risentire, seppur in misura minore, di processi flogistici sistemici (come ad esempio le sepsi). Anche la PCR, come proteina di fase acuta, è un sensibile marcatore di infiammazione, infezione e danno tissutale. Se da un lato la sua aspecificità la rende inadeguata (se considerata singolarmente) alla diagnosi di IBD, la sua breve emivita si è rivelata particolarmente utile nel determinare e seguire nel tempo l’attività di malattia in particolare nell’ambito della Malattia di Crohn.

L’introduzione di farmaci in grado di perseguire gli obiettivi sopracitati ha prospettato la reale possibilità di modificare la storia naturale della malattia: la guarigione della mucosa intestinale è risultata associata ad una riduzione degli interventi chirurgici, del numero di ospedalizzazioni e ad un miglioramento della qualità della vita. L’utilizzo precoce di terapie più aggressive, quali i farmaci biologici, prima dell’instaurarsi di un danno intestinale irreversibile, può modificare in senso favorevole il decorso clinico di tali patologie. Nel prossimo futuro andranno valutati ulteriori obiettivi terapeutici, quali la guarigione transmurale (per la Malattia di Crohn) e la guarigione istologica, per quantizzare il danno strutturale intestinale allo scopo di definire meglio l’effettivo ruolo prognostico.

Dr.ssa Federica Rondoni