Ipertensione arteriosa: l’importanza di identificare il danno d’organo

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Ipertensione arteriosa: l’importanza di identificare il danno d’organo. E’ talvolta una malattia clinicamente manifesta ma può anche essere silente

   

Nella valutazione del paziente iperteso la determinazione del danno d’organo ha un’importanza fondamentale e può aggiungere significative informazioni alla valutazione del rischio cardiovascolare globale e, quindi, alle indicazioni terapeutiche.

Il danno d’organo conseguente all’ipertensione arteriosa può essere considerato sotto due aspetti: malattia clinicamente manifesta (come ad esempio la malattia cerebrovascolare o la coronaropatia aterosclerotica) e danno d’organo silente.

Diventa di fondamentale importanza identificare precocemente il danno d’organo, in quanto offre la possibilità teorica di prevenire la progressione della malattia clinicamente manifesta.

I principali organi colpiti sono: cuore, rene, cervello, occhio e arterie.

Nello specifico, a livello cardiaco, la più comune conseguenza fisiopatologica dell’ipertensione arteriosa è l’ipertrofia ventricolare sinistra.

Il termine ipertrofia sta ad indicare un aumento volumetrico delle cellule di un tessuto con conseguente aumento del volume dell’organo.

L’ipertrofia ventricolare sinistra è dunque il risultato di un meccanismo di adattamento del cuore all’aumento costante dei valori pressori.

In sostanza il cuore “pompa” di più quando la pressione è alta e questo porta ad un rimodellamento strutturale delle pareti cardiache, che comunque dipende anche dalle proprietà di viscosità ed elasticità individuali del miocardio e da fattori genetici e umorali (catecolamine, insulina ecc.), nonché dall’azione del tono simpatico cardiaco.

In sostanza l’ipertrofia ventricolare sinistra è responsabile di una serie di alterazioni fisiopatologiche che possono favorire la comparsa di eventi coronarici, quali la cardiopatia ischemica, le aritmie ventricolari, la morte improvvisa e lo scompenso cardiaco.

A livello renale il danno che provoca l’ipertensione arteriosa sistemica è su base vascolare ed è rappresentata dalla “nefroangiosclerosi”.

Abbiamo due possibili quadri di angiosclerosi: maligna e benigna. La nefroangiosclerosi maligna, che si instaura in casi di ipertensione non efficacemente trattata con antipertensivi, mostra una rapida evoluzione verso l’insufficienza renale con proteinuria e microematuria.

La nefroangiosclerosi benigna è il quadro più frequente e presenta una lenta evoluzione verso l’insufficienza renale.

Le alterazioni strutturali dei vasi muscolo-elastici, quali le arterie carotidi, sono l’espressione del danno vascolare di tipo aterosclerotico e sono caratterizzate dall’ispessimento medio-intimale causato dall’iperplasia (aumento del numero) – ipertrofia (aumento del volume) delle cellule muscolari lisce, dalla formazione di collagene e dalla formazione della placca.

Tutte queste alterazioni sono molto frequenti nei pazienti ipertesi e a livello delle arterie carotidi possono determinare eventi ischemici cerebrovascolari attraverso lo sviluppo di lesioni steno-occlusive o attraverso la microembolizzazione.

A livello del microcircolo l’aumento della pressione arteriosa sistemica può portare a patologie importanti come il glaucoma a livello oculare.

Il glaucoma è una malattia oculare caratterizzata da un danno progressivo del nervo ottico, che porta ad una graduale compromissione della funzione visiva: prima della visione periferica, poi di quella centrale, fino alla completa cecità.

L’ipertensione oculare in genere determina una compromissione meccanica sulle fibre nervose provenienti dalle cellule ganglionari della retina, che vengono danneggiate, con progressiva perdita del campo visivo e della vista.

Diventa fondamentale quindi la prevenzione: controllo pressorio, modifiche allo stile di vita, somministrazione farmacologica quando si raggiungono i valori soglia per il trattamento, valutazione del rischio cardiovascolare globale e del danno d’organo.

L’obiettivo primario del trattamento farmacologico del paziente iperteso è quello di ottenere la massima riduzione del rischio, a lungo termine, di mortalità e morbilità cardiovascolare, con possibile regressione e/o rallentamento della progressione del danno d’organo associato all’ipertensione.

Tutto ciò richiede il trattamento di tutti i fattori di rischio modificabili ed identificabili che comprendono il fumo di sigaretta, la dislipidemia o il diabete.

Dott.ssa Federica Rondoni