Matteo Bartolini, presidente Cia Umbria: “Il riconoscimento della Cucina Italiana come Patrimonio Immateriale dell’UNESCO è un segnale importante, non tanto perché consacra ciò che già conosciamo. È importante perché ci ricorda che la nostra identità alimentare è un cantiere aperto. La cucina italiana non nasce per conservazione, ma per evoluzione: è figlia dei paesaggi, dei suoli, dei saperi che attraversano i secoli e delle relazioni economiche che li sostengono. Se oggi il mondo ci attribuisce questo valore, è perché l’Italia ha saputo trasformare la diversità agricola in un linguaggio condiviso. Ogni prodotto, ogni piatto, ogni tecnica racconta un pezzo di Paese che include la pazienza degli agricoltori che custodiscono varietà fragili, la capacità delle comunità di rigenerare il territorio, la creatività delle imprese che traducono tradizione in opportunità.
Questo riconoscimento però impegna tutti noi italiani. Perché senza un’agricoltura forte, senza filiere che remunerano chi produce e valorizzano chi trasforma, senza un legame vero con la terra, la cucina italiana rischia di diventare un’immagine da cartolina. Non basta celebrare le ricette in tv dobbiamo sostenere gli ecosistemi che le rendono possibili, investire nella qualità ambientale dei territori, difendere il valore del lavoro rurale, aprire spazi a nuove forme di economia del cibo.
Questa nomina può offrirci l’occasione di ripensare il rapporto tra cultura e agricoltura, tra identità e innovazione, tra tradizione e futuro. Se sapremo farlo, questo patrimonio non sarà solo italiano, ma davvero universale offrendo un esempio di come un Paese può generare valore partendo dalla terra e restituendolo alle comunità che la abitano“.
Un risultato importante che valorizza ciò che rende il nostro Paese unico: la cultura del cibo come gesto quotidiano, rito collettivo e identità condivisa.
Ora a noi tutti – spiegano da CIA Umbria – il compito di non banalizzare il riconoscimento con trovate di marketing vuote, ma di dargli sostanza riconoscendo e sostenendo il valore dei diversi territori!
Filiere, tutela della biodiversità, trasparenza nei confronti dei consumatori e delle comunità.
Come agricoltori e allevatori siamo felici e consapevoli. Felici per il riconoscimento ottenuto e consapevoli del lavoro quotidiano (duro) che c’è dietro per portare in tavola cibo sano e autentico.
C’è il rischio che il riconoscimento venga frainteso, strumentalizzato, banalizzato per farne solo una serie di spot e pubblicità.
La chiave della valorizzazione sta nella direzione opposta alla banalità.
Quella che è stata chiamata “cucina italiana” nel dossier è la natura di un insieme di pratiche tradizionali che includono storia, persone e territori.
Si evince che rapporto degli italiani con il cibo ciò che ha sempre contato più di ogni altra cosa è il prodotto, l’ingrediente. Una predilezione per i prodotti da consumare nella loro varietà territoriale.
Con l’iscrizione nella lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità, la Cucina Italiana acquisisce una visibilità globale che può valorizzare tutta la filiera agroalimentare: dai campi alle tavole, dalle piccole produzioni artigianali ai prodotti certificati, fino all’accoglienza turistica. Il riconoscimento dovrà servire per rafforzare politiche agricole sostenibili, difendere l’autenticità delle nostre produzioni, promuovere filiere corte attente alla qualità ai territori e alle comunità. Viva il Bel Paese e viva la cucina italiana.






























