L’Italia riparte dalla terra, la Cia porta in Expo il futuro

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In aumento le imprese “under 35” e l’86 per cento degli italiani consiglierebbe a un figlio di farsi agricoltore. Ma il settore ha ancora troppi ritardi: per superarli serve integrare le filiere e restituire protagonismo ai coltivatori. La Cia-Confederazione italiana agricoltori ha portato in Expo il futuro dell’Italia. Lo ha fatto il 5 maggio all’Expo-presenti per l’Umbria il presidente regionale Cia, Domenico Brugnoni e la presidente regionale Agia, Clelia Cini-presentando le migliaia di giovani agricoltori che aderiscono all’Agia nel corso dell’evento “Giovani: il vivaio da coltivare per far crescere il Paese” come la forza viva per costruire un cambiamento profondo nel modello economico verso uno sviluppo armonico e sostenibile. Non è un progetto ambizioso, ma la rappresentazione della realtà costruita con un impegno costante. Mai come in questo momento l’agricoltura è percepita dagli italiani come un valore da difendere e da rimettere al centro dello sviluppo. Lo ha rilevato uno studio del Censis in collaborazione con Cia significativamente intitolato: “Un futuro per l’Italia: perché ripartire dall’agricoltura”. Ebbene, bastano pochi dati estratti da questa analisi per confermare come agricoltura e giovani non siano più antitetici, ma anzi che gli “under 35” vedono nei campi un valore da tutelare e una prospettiva di lavoro. Del resto -come ha affermato il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino- “nelle nostre aziende, se sarà restituita centralità al settore primario e se soprattutto ci sarà una forte integrazione di filiera e una visione dell’agricoltura come motore di ricerca, come produttore di turismo, come attore della tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale del Paese, siamo in grado di creare in cinque anni oltre 100mila posti di lavoro”. Occorre ripartire da qui, ad esempio dal dato certificato dal Censis secondo il quale per il 27,2 per cento dei nostri connazionali, e molto di più tra i giovani (41 per cento), il legame con la dieta mediterranea e i prodotti agroalimentari di eccellenza del “made in Italy” è un fattore di orgoglio, superato soltanto dal patrimonio artistico e culturale (66,9 per cento dei giovani). Ma non basta. Si deve considerare che, di fronte al desiderio espresso da un proprio figlio o nipote di lavorare in agricoltura, ben l’85 per cento degli italiani consiglierebbe loro di seguire la propria volontà. E che l’agricoltura sia percepita come un valore è confermato dal fatto che il 39,7 per cento degli italiani, specialmente quelli del Centro (44,5 per cento), è convinto che l’Italia possa superare la crisi affidandosi all’agricoltura e all’agroalimentare. Se questo è il contesto, guardando ai giovani si scopre che complessivamente un italiano su due (50 per cento) coltiva un orto, e tra i giovani la quota è persino più elevata (51,2 per cento), anche se in buona parte lo fa saltuariamente (34,9 per cento); ancora di più sono coloro che nutrono la passione per il giardinaggio (70,1 per cento). Ed ecco che il rapporto con l’agricoltura diventa meno sporadico e si converte in voglia di “intraprendere”. Infatti oggi le imprese agricole “under 35” sono in crescita costante e segnano importanti mutamenti: i giovani prendono in affitto le terre per espandere le dimensioni aziendali, oltre un quarto di loro segue coltivazioni biologiche, quasi tutte le imprese “under 35” seguono protocolli di ricerca e risultano fortemente innovative anche in virtù dell’alta qualificazione degli imprenditori. Sono queste imprese il volto nuovo dell’agricoltura che è orientata alla tutela della biodiversità, al mercato, alla ricerca e all’integrazione di filiera e che poggia su un alto livello di qualificazione professionale. Sempre dalla ricerca Cia-Censis si evince che dal 2010 sono nate quasi 117mila nuove attività, di cui 106mila in ambito agricolo e quasi 11mila in quello agroalimentare. I due settori insieme hanno rappresentato l’area di attività prescelta dal 10,1 per cento degli imprenditori che hanno avviato un’azienda negli ultimi tre anni. E, se si osserva l’anzianità delle imprese agricole e agroalimentari, la quota di quante sono nate dopo il 2010 è pari al 14,2 per cento; mentre nell’agroalimentare il dato sale al 18,1 per cento. Sono stati quasi 17mila gli “under 30” che hanno avviato un’impresa agricola a partire dal 2010. Il che significa, che su 100 start-up, 15 sono state create da giovanissimi. Nell’agroalimentare, il loro contributo alla creazione di nuova impresa è arrivato al 18,3 per cento, mentre in agricoltura è stato del 14,9 per cento. Guardando ai settori agricoli e agroalimentari in cui si sono concentrate le nuove iniziative imprenditoriali, l’86,7 per cento ha riguardato le coltivazioni agricole. Nel 9,7 per cento si è trattato di nuove attività legate all’allevamento, mentre nel 9,2 per cento di agroalimentare. Tra le attività più gettonate spiccano la coltivazione di cereali, legumi da granella e semi oleosi (quasi 24 mila nuove aziende, pari al 21,7 per cento del totale delle aziende avviate in agricoltura dal 2010 in poi), coltivazione di ortaggi, meloni, radici (13mila), coltivazione di uva (12mila), coltivazioni miste di cereali (11mila) coltivazioni di frutti oleosi (quasi 10mila), coltivazioni associate all’allevamento (6mila). Da segnalare anche le quasi 5mila nuove imprese di produzione di prodotti di panetteria freschi e le circa 3mila di floricoltura. In più se tra gli imprenditori con più di 40 anni la maggioranza (38 per cento) ha al massimo la licenza elementare, e il 31,2 per cento quella media, tra i giovani imprenditori agricoli il livello medio di istruzione cresce sensibilmente. Tra i 25-39enni il 45,3 per cento è in possesso di un diploma di scuola superiore e l’11,2 per cento ha una laurea. E tra quanti decidono di intraprendere l’attività agricola prima dei 25 anni, ben il 65,3 per cento ha un diploma superiore e il 5,2 per cento è già laureato. E questo provoca un effetto di trascinamento e di attrazione. Tra 2009 e 2013, mentre diminuisce del 13,8 per cento il numero degli immatricolati nelle Università italiane – passato da circa 294mila a 253mila (41mila in meno), aumenta di misura quello degli iscritti alle facoltà collegate al settore primario: +43,1 per cento per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali, +22,9 per cento per scienze e tecnologie alimentari, +18,6 per cento per scienze e tecnologie agrarie e forestali. E’ questo il futuro che la Cia porta in Expo, convinta che dai giovani verrà la spinta a superare i troppi gap che ancora frenano il settore agricolo italiano. Perché se è vero che è percepito come un comparto d’eccellenza, è altrettanto vero che sconta ancora troppi ritardi e un fortissimo potenziale inespresso. L’Italia agricola, nel 2013, ha registrato un valore aggiunto superiore ai 30 miliardi di euro, con una quota sul valore aggiunto nazionale del 2,1 per cento. Il volume di lavoro coinvolto nel settore è pari a 928mila occupati. E tuttavia, pur essendo quella italiana la seconda agricoltura d’Europa, lo Stivale si collocava nel 2013 “solo” al sesto posto tra i Paesi europei per volume di esportazione preceduto, nell’ordine, da Paesi Bassi (63 miliardi), Germania (61), Francia (55), Spagna (33) e Belgio (31). E anche se si guarda al valore che l’export agricolo e agroalimentare ha su quello complessivo delle nostre esportazioni, esistono ancora molti margini di miglioramento: se in Italia l’export agricolo e agroalimentare pesa per il 7,7 per cento, in Spagna si arriva al 14,1 per cento, in Francia e Paesi Bassi al 12,6 per cento. Per migliorare questa performance servono integrazioni di filiera, più dinamismo delle aziende, più valore aggiunto nelle produzioni, una visione dell’agricoltura come settore multifunzionale. Esattamente ciò su cui puntano la Cia e la sua associazione di giovani imprenditori agricoli-Agia.