Gli operatori del settore Horeca: “Serve riaprire e garanzie”

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Gli operatori del settore Horeca: “serve riaprire e garanzie”. Gianni Segoloni, rappresentante dell’Unione spontanea della categoria ristorazione e somministrazione, fa il punto sulla crisi del settore: “siamo circa 360 attività”

   

In questi ultimi mesi, insieme ad “andrà tutto bene”, una delle frasi più ricorrenti è stata “il covid-19 è il virus più democratico che abbia mai colpito l’umanità”. Ed è proprio così, in ogni campo. A livello sociale, il coronavirus colpisce indistintamente uomini e donne, anziani, adulti, giovani e addirittura anche qualche bambino. Stesso discorso in economia, in cui tutti i settori sono colpiti da questa situazione di profonda emergenza. Tuttavia, alcune imprese sembrano essere maggiormente in difficoltà, come ad esempio quelle appartenenti all’ Horeca, ovvero ristoranti, bar, pizzerie, pub, pasticcerie ecc. In Umbria, da tempo, è nata quasi spontaneamente un’associazione di imprenditori locali appartenenti a questo settore, alla quale hanno aderito circa 360 impresari della nostra regione. Ad illustrarci la situazione attuale e l’attività che i rappresentanti Horeca Umbria stanno portando avanti è Gianni Segoloni, proprietario del Bar Bistrot di Perugia, tra i principali promotori di questa associazione e referente per integrazioni con la stampa. L’imprenditore ci ha subito chiarito che:

“La situazione non è rosea e nemmeno molto chiara. A detta di tutti il nostro è il settore più penalizzato da questa situazione: siamo stati i primi a soffrire della carenza di incassi nel periodo pre-chiusura, siamo stati i primi a chiudere in assoluto e saremo gli ultimi a riaprire e a ripartire, con tutte le ristrettezze che ci saranno. Vogliamo tornare a lavorare, ma quando le condizioni sanitarie ce lo permetteranno e garantendo sempre la salvaguardia della salute dei nostri collaboratori e dei nostri clienti. Riaprire a singhiozzo non ha senso, mentre riaprire con le ristrettezze ci penalizzerebbe ancora di più dal punto di vista economico”.

Quindi, cosa serve per riaprire il prima possibile senza aggravare ulteriormente una situazione già molto difficile e complicata? Segoloni così risponde, senza nascondere una certa preoccupazione, che è quella di tutta la categoria:

“Per tornare alla nostra attività, dobbiamo avere delle garanzie. Serve un piano finanziario forte e che sostenga il nostro settore. Ritengo che sia necessario uno scudo fiscale, un taglio netto dei contributi per un periodo di almeno 2/3 mesi, un accesso al credito agevolato, ovviamente per chi non ha alle spalle finanziamenti pregressi. Debito su debito non può essere la panacea. Necessaria anche una proroga della cassa integrazione: non si può pensare di riaprire mettendo a regime la struttura con tutti i dipendenti che si avevano prima. Le preoccupazione mie e dei mie colleghi sono molteplici. La principale è quella di quando, come e se riapriamo. L’altra è la mancanza di liquidità. Riapriamo, ma se dobbiamo far fronte a pagamenti di tasse, di leasing, di tasse locali incombono, non ci sono soldi per farlo. Riapriamo dopo circa 60 giorni senza incassi ed è una cosa insostenibile. Non nascondo che, senza adeguate garanzie, il rischio che saltino il 40-50 % delle attività è molto elevato”.

Le richieste degli imprenditori Horeca Umbria sono chiare: accesso al credito agevolato e a lunga scadenza, proroghe delle scadenze, taglio e annullamento di tasse per un periodo di almeno 2/3 mesi, pagamento del consumo reale per almeno 6 mesi e proroga della cassa integrazione. Per cercare di ottenere quanto più possibile, l’Associazione continua ad essere in contatto con le principali istituzioni del territorio.

“Abbiamo avuto colloqui con tutte le forze politiche della nostra Regione, dal sindaco di Perugia Andrea Romizi all’Assessore regionale Michele Fioroni. Chiaramente, in questa fase, nessuno può fare promesse, ma nessuno se le aspetta. Sicuramente c’è stata una grandissima presa di coscienza della gravità della situazione e ci è stato garantito un impegno a portare la nostra situazione ai tavoli decisionali. Ciò che ci accomuna è che è un male mondiale e verranno prese delle misure globali. È l’unica cosa “positiva” alla quale possiamo aggrapparci. L’aiuto deve arrivare dall’alto (Europa) e deve essere a cascata, dalle nazioni alle Regioni fino a raggiungere i Comuni, e se ciò non avverrà la situazione sarà ancora più grave”.

Quindi, qual è la speranza?

“Più che una data – prosegue Segoloni – la speranza è avere delle certezze per quando riapriremo. Abbiamo la necessità di sapere che possiamo ripartire ma senza i vari fardelli. Se quando riapri non sai cosa ti verrà dato, è inutile. Se non ci saranno le coperture, sarà difficile. Per tornare a regime ci vorranno parecchie settimane”.

Segoloni ha concluso l’intervista parlando del futuro.

“Sono passati 30 giorni, ma di pratico ancora nulla, se non l’avvio delle procedure. Il Decreto Cura Italia sta prendendo corpo solo in questi giorni: il tema della Cassa Integrazione è stato affrontato il 30 marzo, le iscrizioni per il bonus di 600€ sono iniziate il 1aprile, ed entro Pasqua, speriamo,si dovrebbero vedere i primi effetti. Nel frattempo, si parla di un secondo Decreto Cura Italia che, speriamo, questa volta contenga le misure economiche finanziarie necessarie, obbligatorie e tassative per sostenere il mondo Horeca. Il futuro? Dobbiamo attendere e vedere cosa dirà il nuovo decreto. Le voci sono tante così come le promesse, ma da questo nuovo DPCM capiremo se ci sarà un aiuto sostanziale o meno. Se non ci sarà, dovremo trovare altre strade e forme di protesta civile. In questo caso, sicuramente, ci saranno delle prese di posizione forti da parte delle associazioni di categoria. Vediamo se dentro all’uovo di Pasqua, che quest’anno mangeremo in solitudine, ci sarà una bella sorpresa oppure solo carbone, tornando così all’Epifania”.

Michele Mencaroni