La segretaria generale Maria Rita Paggio: rifiutiamo impostazione che appesantisce il percorso e limita la libertà della persona
“Preoccupa e desta allarme il testo base depositato dalla maggioranza sul fine vita, poiché non si limita a disattendere le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019, ma crea un percorso a ostacoli volto con tutta evidenza a precludere l’esercizio del diritto”.
È quanto sottolinea la segretaria generale di Cgil Umbria Maria Rita Paggio.
“La creazione di una Commissione etica nazionale di nomina politica chiamata a decidere sul caso specifico, col paradosso che si avrebbero criteri decisionali diversi in base ai partiti al governo – sostiene la dirigente sindacale –, l’obbligatorietà dell’inserimento in un percorso di cure palliative e l’impossibilità di ripresentare richiesta nei quattro anni successivi, in caso di rigetto, sottopone la persona malata a inutili sofferenze aggiuntive. Inoltre, viene ignorata la possibilità che, in un tempo tanto lungo se rapportato a malattie degenerative, possa esserci un peggioramento delle condizioni oggettive”.
“Secondo la Cgil Umbria, poi – sottolinea Maria Rita Paggio insieme a Stefania Cardinali, segretaria di Cgil Umbria con delega alle politiche di genere –, il riferimento nel primo articolo della bozza alla ‘tutela della vita a partire dal concepimento e fino alla morte naturale’ prelude a una compressione del diritto all’autodeterminazione delle persone nella fase finale della vita e anche in relazione al diritto delle donne all’interruzione volontaria della gravidanza sancita dalla legge numero194. Appare in tutta la sua gravità il prezzo pagato dalla maggioranza alle associazioni integraliste no choice e pro vita. Vorremmo rammentare al Governo e alla maggioranza che l’Italia non è uno Stato confessionale e che sul diritto all’aborto i cittadini si sono già espressi chiaramente nel lontano 1978”.
“La Cgil rifiuta con decisione – concludono le segretarie Paggio e Cardinali – un’impostazione che, chiamata a dare attuazione alla sentenza della Consulta, appesantisce il percorso con inutili procedure e nega una volta di più la dignità della persona nella fase finale della vita”.