Partenza a razzo per l’edizione 51 con la città che si mostra più bella e più attiva di sempre
di Francesco Bircolotti
Che i dieci giorni di Umbria Jazz abbiano da sempre trasformato Perugia rispetto a qualsiasi altro periodo dell’anno non ci sono dubbi. Stavolta però, la prima dopo il giro di boa della presunta mezz’età (quella 2023 è stata l’edizione dei 50 anni, come si ricorderà), sono bastate 48 ore per capire che il “risveglio” annuale della città è stato più vigoroso di sempre. Segno dell’ascesa dell’entusiasmo della gente che vede la curva di gradimento innalzarsi sia come presenze sia come qualità della partecipazione al pari della ritrovata voglia di divertirsi tra musica e socialità? Forse. E a ciò vanno certamente aggiunti i tre assi, così diversi tra loro ma tutti vincenti, calati subito da Carlo Pagnotta che al via ha messo in fila Richard Galliano, Vinicio Capossela e Lenny Kravitz, per un saldo di quasi 18.000 biglietti venduti solo per gli eventi dei primi due giorni. E’ innegabile però che la kermesse jazzistica tra le più note al mondo abbia fatto registrare sin dalle prime battute un’aria diversa, positiva, coinvolgente e travolgente per un qualcosa che le è proprio e che stavolta appare sempre di più.
Per carpirne il segreto verrebbe da ricordare il verso de “L’aquilone” di pascoliana memoria: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico…”. Che si traduce facilmente con la formula generale, ma ben applicata alla manifestazione dal presidente della Fondazione Umbria Jazz Gianluca Laurenzi,secondo cui l’arma vincente è nel concetto “Innovazione nel segno della tradizione”. Ovvero la crasi perfetta tra la magia di una manifestazione che con i suoi riti storici (maratone musicali, palchi variegati e personaggi d’elite) sa scaldare i cuori anche di chi non ama del tutto il jazz e l’arte sempre più raffinata di contaminare suoni, spazi e momenti aggregativi all’insegna del concetto di “fusion” con quello che è appunto altro dal jazz ma che il jazz riesce ad esaltare per poi farsi apprezzare anche ai più scettici o distanti.
Così Perugia si trasforma, come sempre, e al tempo stesso si rinnova e si mette in movimento con sempre maggiore energiafino ad apparire una sorta di positivo “paese dei balocchi”, di quelli che non hanno secondi fini se non continuare a scrivere la storia e avvicinare a sé, alle sue meraviglie e alla sua anima più profonda (forse talvolta troppo sommersa) chi non ne conosce i dettagli migliori o chi negli anni si è allontanato. Il Jazz come strumento e motore, le mostre e le jam session come ingredienti speciali, la vita di bar, ristoranti e locali come sottofondo gioioso, le mille proposte che dai singoli (buskers in testa) agli esercizi commerciali ci si inventa pur di attrarre l’attenzione e coinvolgere. Chi non partecipa ha sempre torto: perché può anche non piacere, ma “UJ” va sempre provata. E aggiungiamo mai contestata a prescindere, per miopia e difesa di chissà cosa indipendentemente siano in ballo la quiete notturna, l’agonia di traffico e parcheggi, qualche rinuncia di tipo privato a livello di tempi e di logistica. Poi si può fare di più, certo: ogni anno, del resto, l’organizzazione si interroga per correggere e migliorare nella duplice consapevolezza che c’è una tradizione da onorare e che non si può piacere a tutti. Ma l’obiettivo è sempre guardare avanti e continuare a stupire. Come fosse la prima volta. E i primi due giorni dicono che il bersaglio è già stato centrato. Per la gloria (anche) di Perugia.