Meno anticoagulanti durante il picco pandemia

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Università (Sebastiani)

Questo quanto emerge dalla ricerca alla quale hanno contribuito i professori Giuseppe Ambrosio e Paolo Reboldi, del Centro di ricerca clinica e traslazionale, Cericlet del Dipartimento di Medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia

   

Durante il picco della pandemia da Covid le prescrizioni di farmaci anticoagulanti in Italia sono diminuite “di oltre il 60%”. Emerge da una ricerca di un gruppo di lavoro al quale hanno contribuito i professori Giuseppe Ambrosio e Paolo Reboldi, del Centro di ricerca clinica e traslazionale, Cericlet del Dipartimento di Medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia. Insieme ai colleghi di altre strutture, i ricercatori dell’Ateneo umbro – si legge in una sua nota – hanno analizzato l’intero Registro nazionale istituito da Aifa per monitorare le prescrizioni di farmaci anticoagulanti, impiegati per il trattamento di patologie quali la fibrillazione atriale e la trombosi venosa, per prevenire il rischio di embolie gravi e potenzialmente fatali. Dalla ricerca, pubblicata sulla rivista European journal of preventive cardiology, organo ufficiale della Società europea di cardiologia, emerge che la diminuzione delle prescrizioni di anticoagulanti è stata rilevata sull’intera popolazione italiana che normalmente accede a queste cure (oltre 1.5 milioni di pazienti), e si è mostrata “particolarmente eclatante” nelle classi di età più avanzate. Secondo i ricercatori questa situazione ha esposto quei pazienti ad un rischio “molto maggiore di complicanze gravi, e potenzialmente fatali”. Tra le spiegazioni di questo dato gli autori hanno rilevato come durante il picco pandemico sia “nettamente diminuito” l’accesso, soprattutto degli anziani, alle visite mediche. Tale fenomeno è considerato “verosimilmente” conseguenza da un lato della “drastica diminuzione” della disponibilità di accessi ambulatoriali, dovuta al “sovvertimento” dei percorsi di cura negli ospedali causato dall’emergenza Covid e dall’altro, è anche considerato possibile che molti pazienti abbiano avuto difficoltà di accesso ai controlli medici, per timore del contagio oppure, specie gli anziani, per le difficoltà di spostamento durante il lockdown.