Giubileo della Disabilità: i ragazzi del Serafico di Assisi in cammino nel segno di Papa Francesco

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Dalla Basilica di Santa Maria Maggiore e da piazza San Pietro una testimonianza concreta: la fragilità, pur segnando il cammino, non cancella il valore della vita. Di Maolo: “E’ un richiamo a costruire comunità che sappiano riconoscere e custodire ogni vita”

   

Non sono stati semplici pellegrini ma testimoni di una storia che parla di fragilità e dignità: con occhi curiosi, sorrisi e mani intrecciate a quelle degli operatori, i ragazzi del Serafico di Assisi questa mattina (martedì 29 aprile, ndr) hanno aperto il loro pellegrinaggio nell’ambito del Giubileo della Disabilità attraversando la Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore, dopo essersi raccolti davanti alla tomba di Papa Francesco. E mentre il mondo guarda ai pellegrini come a viandanti in cerca di fede, i ragazzi ‘serafici’ – con corpi fragili, con storie segnate dalla disabilità ma aperte alla vita – hanno mostrato che il pellegrinaggio non si misura in passi o in distanze, ma nella capacità di essere presenza, di costruire legami, di dare e ricevere amore. Dopo il passaggio a Santa Maria Maggiore, il cammino è proseguito fino alla Basilica di San Pietro dove si sono fermati per un momento di raccoglimento, portando con sé la forza silenziosa della loro presenza. E lo hanno fatto non da semplici spettatori, ma come protagonisti, per portare una presenza viva e forte. Proprio perché la disabilità non chiude la vita, ma la apre ad altri modi di viverla pienamente attraverso la relazione e la cura reciproca.

Fu proprio Papa Francesco infatti, fin dai primi mesi del suo pontificato, a indicare la via della cura e dell’ascolto della vita più vulnerabile.  Nell’ottobre del 2013, nel suo primo pellegrinaggio sulle orme di San Francesco, volle visitare l’Istituto Serafico di Assisi dove si inginocchiò, letteralmente, davanti alla fragilità: accarezzò ognuno dei ragazzi con disabilità del Serafico e si lascio accarezzare da ognuno di loro. Gli bastarono gesti, sguardi e quel tempo trascorso insieme per dire che ogni vita, anche la più segnata dalla disabilità, custodisce in sé tutta la dignità umana. Quel giorno Francesco disse di essere stato “baciato da Dio”, un’espressione che segnò l’inizio del magistero sulla fragilità che avrebbe accompagnato tutto il suo pontificato. Proprio da quel primo abbraccio nacque un’amicizia, quella tra il Santo Padre e i ragazzi del Serafico, che sarebbe durata nel tempo, rinnovandosi nei tanti momenti di incontro ad Assisi, come Economy of Francesco, e negli appuntamenti dedicati alla sanità cattolica. Un legame che si è mantenuto vivo come segno di quella attenzione concreta che il Pontefice ha sempre riservato ai più fragili: non un’idea astratta di solidarietà, ma una prossimità reale, capace di lasciarsi ‘toccare’ dalle ferite del mondo, di riconoscere in ogni volto sofferente un frammento vivo del Vangelo e trovando nella cura quotidiana della fragilità il suo linguaggio più autentico. Al Serafico infatti a fragilità non è un limite da nascondere, ma una realtà da abitare con coraggio. E passa ogni giorno attraverso mani che accolgono, che imboccano, che sostengono; mani che aiutano a vivere senza sostituirsi; mani che costruiscono possibilità, che proteggono la dignità, che rendono visibile l’invisibile. “Stando accanto ai nostri ragazzi si scopre ogni giorno che la disabilità non è un limite che riduce, ma una condizione che rivela il valore autentico della vita” ha spiegato Francesca Di Maolo, presidente del Serafico di Assisi. “Non si misura tutto in base ai risultati o all’efficienza – ha aggiunto – ciò che rende piena l’esistenza di ogni persona è la qualità delle relazioni, la capacità di stare accanto e di creare legami. Papa Francesco lo ha mostrato con chiarezza: il valore di ognuno non dipende da ciò che riesce a fare, ma dall’amore che riceve e che riesce a generare. La presenza dei ragazzi del Serafico, oggi, davanti alla Porta Santa e alla tomba del Santo Padre, è testimonianza viva di questo sguardo. In un tempo che fatica a riconoscere chi è più fragile, la loro presenza diventa un richiamo forte a costruire comunità che sappiano riconoscere e custodire ogni vita, senza lasciarne indietro nessuna”.

Nei giorni immediatamente successivi alla morte del Pontefice, il passaggio dei ragazzi del Serafico a Roma è diventato così non solo un momento di fede, ma anche un atto di memoria viva. Una memoria che non si chiude in un ricordo, ma si apre come responsabilità: custodire ciò che Papa Francesco ha insegnato con la sua vita e il suo magistero, rimettendo al centro chi è fragile, invisibile, dimenticato. I ragazzi del Serafico hanno testimoniato – con la semplicità dei gesti e la forza della loro presenza – che la fragilità non spegne la vita, ma la rivela nella sua verità più profonda. E hanno ricordato che la disabilità non annulla i sogni: li trasforma e li orienta verso percorsi condivisi, dove l’essenziale nasce dal camminare insieme.