Assemblea Onu dei Popoli, Bori: “Ricostruiamo la cultura della fraternità”

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Il vicepresidente dell’Umbria: “No alla cultura dell’odio, serve un impegno comune per la pace”

   

(aun) – Perugia 9 ottobre 2025 – Care amiche e cari amici costruttori di pace, benvenuti in Umbria, benvenuti a Perugia, città simbolo di fratellanza e di impegno”: così oggi a Perugia il vicepresidente della Regione Umbria, Tommaso Bori, nel suo saluto di apertura dell’Assemblea dell’Onu dei Popoli che si tiene a Perugia fino al 12 ottobre.

“Siamo qui – ha detto Bori – non come rappresentanti di stati, ma come popoli, per dare voce a quell’umanità ferita, sofferente e smarrita che, troppo spesso, non si vuole più ascoltare.

Dobbiamo iniziare partendo da una verità molto scomoda e dura: viviamo una delle fasi più drammatiche del secolo.

La crisi che viviamo infatti, non è solo militare o economica: è una crisi che tocca il fondo della nostra etica e la capacità di reagire come civiltà”.

“Questa crisi – prosegue – è alimentata da una ‘nuova guerra nascosta’ che minaccia di cancellare le conquiste di intere generazioni. Perché non deve sfuggire a nessuno di noi che la mattanza che continua in Ucraina, il genocidio a Gaza, i drammi dimenticati in Sudan e nel resto del mondo, non sono incidenti di percorso o fenomeni puntiformi. Sono il sintomo di un fallimento strutturale, di una logica del riarmo e del potere che antepone la volontà di potenza e la ricerca del profitto alla vita”.

“Ma la vera drammaticità” – per Bori, il rischio più grande che ci deve interrogare profondamente – “risiede in una mutazione dell’animo umano, in una regressione che sta avvelenando in particolare le nuove generazioni in alcuni contesti di guerra. E non solo”.

“Vi porto un esempio lampante, quello della cultura dell’odio nei territori teatro dei conflitti. La giornalista Cecilia Sala, nel suo recentissimo libro ‘I figli dell’odio’, ci costringe a guardare negli occhi questa realtà. L’odio non è più solo un sentimento degli adulti, è diventato un’eredità per chi non ha conosciuto la guerra direttamente.

Sala ci racconta scene agghiaccianti dove la logica della causa ha superato la pietà umana. Ci dice che in contesti di tensione, ‘i giovani sono decisamente più a destra non solo dei fondatori laburisti, ma dei loro padri, che credevano nei due popoli e due stati’.

Questo ci dice una cosa terribile: in certi luoghi, i figli sono più inaspriti dei loro genitori alla loro stessa età”. “L’esasperazione della violenza sta producendo generazioni che nascono e crescono nell’odio, negando l’umanità del vicino e persino la verità dei fatti, come la negazione delle atrocità commesse.

Questo è il dramma che l’Assemblea dell’ONU dei Popoli deve affrontare. Se la guerra distrugge il futuro alimentando l’odio nei giovani, la nostra missione è ricostruire la fraternità e fermare questa eredità tossica. La pace non è solo assenza di guerra, è la scelta di disarmare le menti”.

“Di fronte a questo dramma abbiamo – e rubo il titolo di un libro del giornalista Massimo Giannini ‘Il dovere della speranza’. Dobbiamo trovare le ragioni per riflettere e agire su alcuni imperativi alternativi alla logica dell’odio e della devastazione:

Difesa della dignità umana, economia di pace, riforma del pensiero”.

La speranza ci deve far stringere attorno ad Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace e icona della democrazia in Myanmar. Le parole del figlio, Kim Aris, ci ricordano la drammatica realtà: a 80 anni, con gravi problemi di salute, è ancora detenuta in isolamento dai generali.

Ogni appello e ogni sforzo della comunità internazionale non sono vani. La sua lotta per la democrazia e la sua dignità meritano l’attenzione e la solidarietà costante di tutti. Siamo al fianco di Kim Aris e di tutti coloro che invocano la liberazione immediata di “May May” e il rispetto dei suoi diritti umani. La speranza del Myanmar non può spegnersi in una cella”.

Concludendo il vicepresidente ha sottolineato che “la cosa meravigliosa è che non siamo soli in questa missione, in tutto il mondo siamo tanti. Le piazze nei cinque continenti in questi giorni erano piene di persone che si sono mobilitate in modo pacifico per dire ‘basta’ alla guerra. Queste manifestazioni, questi padri, queste madri, giovani, anziani e bambini che alzano la voce, sono la dimostrazione che la coscienza civile è viva, che ci siamo e che vogliamo vivere liberi da cittadini e non da sudditi e soprattutto, vogliamo far vivere la speranza.

Queste piazze gremite sono la nostra forza. E oggi siamo qui per essere il ‘grande cantiere della pace’, la coscienza del mondo.

Buon lavoro a tutti e tutte con l’impegno di non lasciare ai nostri figli un’eredità di odio, ma un futuro di speranza e giustizia”