Allo Spazio Zut di Foligno approda “La vita è ferma”

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Dopo Diario nel tempo il Teatro Stabile dell’Umbria con La vita ferma è tornato a collaborare con Lucia Calamaro, considerata una delle migliori scrittrici italiane. Lo spettacolo presentato lo scorso settembre al Terni Festival sta ottenendo ottimi consensi, anche grazie alla bellissima prova dei tre attori in scena, Riccardo Goretti, Alice Redini e Simona Senzacqua.
Da venerdì 7 a domenica 9 aprile verrà presentato allo Spazio Zut di Foligno (venerdì e sabato alle 20.15, domenica alle 18.15).
La vita ferma è una pièce in tre atti che rappresenta “un dramma di pensiero, un racconto che accoglie, sviluppa e inquadra il problema della complessa, sporadica e sempre piuttosto colpevolizzante gestione interiore dei morti, una riflessione aperta sul lutto, la cui elaborazione non è detto sia l’unica soluzione. Lo spettacolo è uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque, -padre, madre, figlia- attraverso l’incidente e la perdita, dove avviene anche qualche inceppo temporale, incaricato di amplificare la riflessione sul problema del dolore ricordo e sullo strappo irriducibile tra i vivi ei morti che questo dolore è comunque il solo a colmare, mentre resiste.
Non si parla della morte e non del problema del morire e di chi muore, che sappiamo tutti risolversi sotto la misteriosa campana del nulla, che strangola sul nascere ogni comprensione, ma i morti, il loro modo di esistenza in noi e fuori di noi, la loro frammentata frequentazione interiore e soprattutto il rammendo laborioso del loro ricordo sempre così poco all’altezza della persona morta, così poco fedele a lei e così profondamente reinventato da chi invece vive.

“So che in questo racconto, da qualche parte, abita inoltre una riabilitazione più o meno dichiarata di una poetica del pathos dice Lucia Calamaro – questo termine soffre oggi di un discredito generale, si elogia l’approccio senza pathos di temi di una gravità impossibile, come se il patetico fosse diventato l’osceno. Io non sono più d’accordo. E fosse anche osceno, ne sento il bisogno. Quest’affetto, il pathos, parente feroce di pietà e compassione è secondo me l’unico capace di incarnare e raccontare i disastri che compongono in parte una vita e la natura scandalosa e qui si, oscena, del diktat dell’oblio.”