Spunti e appunti sulla kermesse tra cartellone di nicchia, “struscio” a rilento, piccole-grandi novità e musica regina
Metà percorso ed è già tempo di bilanci. Perché se sarà la conferenza stampa finale indetta dall’organizzazione per domenica mattina a dire “com’è andata”, è già possibile esprimere un giudizio sull’edizione 2025 di Umbria Jazz, in men che non si dica arrivata al giro di boa. Un bilancio che parla, al solito, di quelle notti magiche tanto care a Gianna Nannini – per restare in tema musicale – pur di calcistica memoria. Ma forse, rispetto ai più recenti anni passati, un po’ con il freno tirato. Parlando di cartellone, infatti, è chiaro che i “botti” del 50esimo e dell’anno successivo non potevano essere ripetuti, tra ristrettezze economiche e calendari sempre più esasperati delle grandi star. Guardando all’organizzazione, è altrettanto chiaro che, nonostante l’inossidabile Carlo Pagnotta sia sempre al suo posto e la scelta del nuovo presidente della Fondazione sia ricaduta su un uomo di sua estrema fiducia come Stefano Mazzoni, il cambio della guardia della nuova governance abbia fisiologicamente imposto quello che a evento in corso potremmo a ragione definire un anno di transizione.
Ne è venuta fuori, insomma, un’edizione “liscia”, perfino interlocutoria per certi aspetti, in attesa di nuovi fasti e che ha indotto a puntare tutto sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Il che non è certo un limite o un difetto se si pensa ai nomi che si stanno alternando sul palco del Santa Giuliana, dove la platea è tornata ad essere quella di una volta, ovvero degli addetti ai lavori e di fini palati di intenditori non solo (ovviamente) di note di jazz. Una scelta, quella della qualità, che premia l’idea di fondo del festival nonostante il riproporre in parte di personaggi visti e sentiti abbondantemente (pur sempre dilettevoli i vari Bollani, Hancock e Mika che applaudiremo ancora sabato, ci mancherebbe…), ma che all’appetito della gente comune e anche di quella parte della città che pensa più all’indotto sembra far mancare qualcosa. Una sensazione che si è riflettuta finora – galeotta anche la scorsa domenica di pioggia – soprattutto sullo “struscio” serale per le vie del centro preso meno d’assedio del solito, su un po’ di inediti spazi larghi davanti ai palchi nell’acropoli e, infine, a guardare la platea dell’Arena, sulle parecchie seggiole vuote nonostante le proposte vincenti di artisti meno di massa come Samara Joy, Ledisi, Kurt Helling e i travolgenti Patagarri, finora autentica rivelazione del Festival. Come dire che al conteggio finale, senza entrare nel merito di quello economico che non ci compete, mancheranno un po’ (se “un bel po’” ce lo diranno le prossime serate) di numeri sia in termini di presenze che di biglietti.
Ma tant’è, perché lo sguardo del quinquennio appena iniziato è certamente orientato al futuro. Difficile dire se cambiando formula, almeno in parte; molto più facile pensare a un progetto “massiccio”, intanto biennale, inseguendo un po’ di sogni. Quali? Qualche uccellino cinguetta nomi come Sting e Zucchero, qualche nostalgico azzarda un incrocio Lisa Stansfield-Swing Out Sister, c’è chi punta infine su big che esulino completamente dal jazz più o meno puro. Vedremo. Meglio concentrarci, intanto sul presente: c’è da portare a termine quest’edizione un po’ stravagante anche per alcune “pillole di UJ” finora registrate. Quelle belle, come gli incantevoli sfondi sul palco del Main Stage alle spalle di cantanti e musicisti a rompere grazie all’intelligenza artificiale con il tradizionale telo nero e il logo della manifestazione; come la scomparsa (finalmente!) delle odiate transenne di fronte al palco di Piazza IV Novembre grazie ai buoni uffici dell’Assessore comunale Fabrizio Croce e del suo staff; e come il decollo definitivo de la Terrazza del Mercato Coperto targata Eugenio Guarducci in un mix musicale esplosivo diurno e notturno tra swing e house music. Quelle curiose, come il cambio nella gestione della sicurezza sotto i cui controlli serrati (lo diciamo con un sorriso) sono finiti persino Carlo Pagnotta e Dario Cecchini dei Funk Off; oppure come l’improbabile battaglia del prosciutto di Parma che invade col suo stand (che però chiude alle 20…) come partner dell’evento corso Vannucci per provare a spodestare quello di Norcia che domina da queste parti. Le pillole “antipatiche”, infine, come la poca educazione del pubblico durante alcuni concerti, a partire dal disturbatore seriale del “Morlacchi”, forse annoiato dal monologo di martedì di Jazzmeia Horn. Un plauso infine a quei locali che ospitano la Jam Session notturne: dal Priori Secet Garden all’Osteria Cardinali fino al Marla, senza dimenticare tutti gli altri che in un modo o nell’altro, dentro o fuori, fino a tarda notte non fanno mai mancare la musica. Ancora una volta regina incontrastata di Perugia nel mese di luglio.
Francesco Bircolotti