Umbria Jazz al via, ecco i segreti di come un sogno è diventato storia

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Immagine di repertorio

Umbria Jazz al via, ecco i segreti di come un sogno è diventato storia. Al via l’edizione 46 dell’evento culturale più importante di Perugia. Viaggio nel tempo con Gianluca Laurenzi

   

di Francesco Bircolotti

Avete mai provato a pensare cosa sarebbe Perugia senza Umbria Jazz? Certo, ci sarebbero mille altre manifestazioni, che egregiamente si susseguono lungo tutto il corso dell’anno. Però… Però mancherebbe quella che comunemente viene definita da tutti la più importante. A prescindere se il genere musicale piaccia o meno. Insomma, il capoluogo dell’Umbria (e più in generale l’intera regione) sarebbe privo di una fondamentale parte di sé con una grave perdita sia dal punto di vista culturale che nell’ottica di un tessuto sociale ed economico sempre più bisognoso di linfe vitali. E sia chiaro: non soltanto per una dozzina di giorni di luglio, perché UJ aleggia in città tutto l’anno.

Ma per fortuna Umbria Jazz c’è. Da quel lontano 1973, “quando da un’idea di un gruppo di amici perugini, tra cui Carlo Pagnotta e Sauro Peducci, cominciò a prendere forma quel sogno di organizzare una vera e propria kermesse estiva, alla stregua dei grandi festival europei ed americani”. A riavvolgere il nastro dei ricordi è Gianluca Laurenzi (foto), oggi avvocato e uno dei Consiglieri di amministrazione della Fondazione di Partecipazione Umbria Jazz, che si presta volentieri a far da Cicerone nei meandri di un’avventura tanto straordinaria quanto rivoluzionaria.

“Pagnotta – racconta Laurenzi con dovizia di particolari – grande appassionato di Jazz, figlio del titolare dello storico Ristorante “Trasimeno”, proprietario e gestore del negozio di abbigliamento “Sir Charles” e dirigente nel Perugia Calcio del Presidente Lino Spagnoli, già da qualche anno aveva creato il “Jazz Club Perugia”. Ma la cosa stava stretta e decise di portare l’ambizioso progetto in Regione, ottenendo l’appoggio della Giunta ed in particolare dell’allora Assessore al turismo Alberto Provantini. Con l’aiuto dei bolognesi Alberto Alberti ed Antonio “Cicci” Foresti, rispettivamente primo principale manager italiano dei musicisti di jazz ed organizzatore del “Bologna Jazz Festival” si riuscì a mettere in piedi la prima edizione. Concerti tutti gratuiti, con il primo che si sarebbe dovuto tenere a Perugia, poi un altro a Terni e di nuovo a Perugia prima di andare a Gubbio. Per ragioni logistico-organizzative si decise però all’ultimo di esordire a Villalago di Terni, per poi tornare a Perugia per due concerti consecutivi. Il debutto in piazza IV Novembre vide sul palco i leggendari Wheater Report, con una giovanissima Dee Dee Bridgewater”.

Il Sessantotto era passato da poco, ma l’aria di “contestazione” dei primi anni ’70 e degli “anni di piombo” si respirava pesantemente anche su Umbria Jazz. Così le prime edizioni videro gran parte degli spettatori fortemente politicizzata e le città (oltre Perugia, Terni, Orvieto, Gubbio, Todi, Città di Castello) letteralmente invase da hippies e “saccopelisti” che bivaccavano un po’ ovunqe. Ricorda Laurenzi:

“A volte veniva impedito perfino il passaggio nelle piazze, come successe al leggendario pianista Count Basie e, a Todi, al Vescovo dell’epoca in occasione di una processione. Tutto ciò creava gravissime problematiche di ordine pubblico con ricadute anche sull’aspetto musicale, se è vero che furono duramente contestati e fischiati grandi jazzisti come Chet Baker e Stan Getz solo per il fatto di essere bianchi e borghesi, ed alcuni concerti dovettero essere annullati. Così, per non rischiare oltre, gli organizzatori annullarono l’edizione del 1977 e quando si svolse l’anno successivo i problemi restarono tutti costringendoli ad interrompere definitivamente il festival”.

Ma Perugia non poteva rimanere senza Umbria Jazz. Quel sogno originario non poteva svanire.

“Nel 1982 – riprende d’un fiato Laurenzi – grazie alle insistenze del lungimirante Provantini si decise di riprovare, ma con una formula diversa: non più il Festival itinerante, ma prevalentemente stanziale in una città, con concerti a pagamento. Solo Perugia e il suo Sindaco, Giorgio Casoli, diedero la disponibilità dando idealmente il via ad una marcia trionfale capace di portare in città negli anni (spesso in esclusiva per l’Italia) eccezionali artisti internazionali grazie all’opera dell’Associazione Umbria Jazz e, dal 2009, dell’attuale Fondazione di Partecipazione Umbria Jazz, con Renzo Arbore presidente e Carlo Pagnotta direttore artistico”.

Sfruttando l’integrazione tra il look medievale dell’acropoli ed i mille aspetti di un particolarissimo festival musicale, la città anno dopo anno è assurta a capitale italiana del jazz; progressivamente si succeduti nuovi spazi come i neoclassici giardini del Frontone, i teatri Pavone e Turreno, la ex chiesa di San Francesco al Prato e perfino lo Stadio “Renato Curi” per concerti a tutt’oggi rimasti leggendari, fino a coinvolgere di recente l’Arena Santa Giuliana, i Giardini Carducci, il teatro Morlacchi, la Galleria Nazionale dell’Umbria, la Basilica di San Pietro.

Il resto è storia attuale. L’anteprima di questa sera in piazza IV Novembre darà il là all’edizione numero 46, che da domani cercherà di sfidare e battere i record del 2018: 35mila paganti, 1.450.000 euro di incasso tra biglietti e merchandising (+ 65% dell’anno precedente), oltre 400mila presenze per quello che rappresenta un autentico fenomeno turistico, economico, sociale e di colore oltre che strettamente musicale. Proprio per questo ne “L’altra Umbria Jazz” ogni giorno su queste “colonne on line” si cercherà di parlare tutto quello che ruota intorno al festival. Perché oggi più di sempre si è curiosi di vedere (e raccontare) i dietro le quinte di ogni evento. Figuriamoci questo. Buon UJ 2019 a tutti!

Di seguito la locandina della prima edizione nel 1973