Reinserimento detenuti: riuscito al carcere di Perugia “Argo”, progetto per la via del riscatto

951

Reinserimento detenuti: riuscito al carcere di Perugia “Argo”, progetto per la via del riscatto. 72 i detenuti coinvolti in 5 diversi percorsi formativi. I migliori due assunti in prestigiosi ristoranti locali

   

C’è chi ha trovato la sua passione nella pasta fresca e nel pane fatto in casa. E sogna il proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Chi durante la detenzione ha trovato l’orgoglio di saper fare un mestiere perché prima, in 53 anni, era stata “solo una casalinga” e adesso dice di aver avuto “un’occasione per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina una volta fuori”.

Se ben organizzato il carcere può davvero diventare un luogo di recupero. In questo senso l’esperienza formativa presso il Nuovo Complesso Penitenziario di Perugia si può dire riuscita. 72 i detenuti coinvolti, di cui 15 donne ristrette presso la sezione femminile. Gli allievi che hanno frequentato i 5 percorsi formativi per “Addetto alla cucina” (2 edizioni), “Addetto ai servizi di pulizia”, “Impiantista elettricista” e “Operaio agricolo”, promossi da Frontiera Lavoro, nell’ambito del progetto “Argo: percorsi formativi per il reinserimento dei detenuti”, finanziato dalla Regione Umbria attraverso il Fondo Sociale Europeo, sono soddisfatti della loro nuova o migliorata capacità professionale.

E al termine delle 120 ore di lezione i migliori due del corso di cucina sono stati assunti con regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato presso prestigiosi ristoranti del territorio perugino. Il corso di cucina, in particolare, è non solo un’occasione professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture. Nell’Istituto penitenziario di Perugia sono infatti presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra.

Come Elena, 32 anni romena.

“Ho imparato tante cose nuove – racconta -, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”. O come la sua compagna 26enne toscana Veronica, che però preferirebbe dedicarsi al servizio ai tavoli e dice: “Ora voglio riprendere la mia vita e continuare a fare la cameriera”.

Tutti i corsisti che hanno partecipato alla formazione sono coordinati da prestigiosi e rinomati docenti.

“Gli allievi, spiega la chef Catia Ciofo, hanno imparato le basi della cucina mediterranea. Dalla pasta fatta in casa ai piatti tradizionali rivisitati. Alcuni non avevano idea della cucina, mentre altri avevano già lavorato nel settore. Tutti hanno affrontato il corso con piacere e ottenendo ottimi risultati. Divisi in piccoli gruppi i partecipanti hanno lavorato in cucina con materiali e prodotti di qualità e al termine di ogni lezione monotematica, la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati sono stati consumati insieme. Il cibo è un linguaggio comune e un argomento che tocca trasversalmente tutte le culture e le nazionalità, da qui la scelta di metterlo al centro di un progetto che ha un duplice obiettivo: da un lato, creare le condizioni per una migliore integrazione delle donne detenute e migliorare la loro capacità comunicativa, dall’altro acquisire nuove abilità e competenze tecniche che possano costituire il punto di partenza per modificare il proprio percorso di vita”.

Il progetto, causa emergenza pandemica, attualmente è sospeso e riprenderà nel prossimo mese di gennaio con il corso per “Impiantista elettricista” in modalità a  distanza.

I progetti di inclusione sociale, come quello promosso dalla Regione Umbria, sono utili per persone maggiormente vulnerabili, a rischio di discriminazione, per le quali vengono definiti percorsi personalizzati di accompagnamento al lavoro.

“Il progetto proposto – dichiara il coordinatore Luca Verdolini -, ha l’obiettivo principale di fornire le competenze di base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo  oltre agli insegnamenti fondamentali, propedeutici ad un successivo reinserimento sociale della persona detenuta. Negare ad una persona detenuta il diritto al lavoro non equivale infatti a sanzionarlo per il delitto che ha commesso ma privarlo uno degli aspetti salienti della vita: la relazione con le persone e con la realtà. L’esperienza lavorativa, infatti, aumenta il grado di stima dei detenuti consentendo una riscoperta della loro dignità, permette il recupero dei legami familiari favorendo una rinnovata socialità e, infine, incide sulla recidiva migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità”.