L’utilità’ della MOC nella diagnosi di osteoporosi

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L’utilità’ della MOC nella diagnosi di osteoporosi. Il moderno macchinario ha lo scopo di individuare situazioni di ridotta densità ossea che espongono il paziente ad un aumentato rischio di frattura

   

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da alterazioni della struttura ossea tali da provocare un aumento della fragilità dell’osso e del rischio di frattura.

La conseguenza clinica di tale patologia è pertanto rappresentata da un evento fratturativo che avviene senza traumi o per traumi di lieve entità: le cosiddette fratture da fragilità o fratture da osteoporosi che riguardano soprattutto le vertebre e il femore (di minor impatto clinico la frattura di polso e del bacino). L’importanza di effettuare indagini per ricercare la presenza di osteoporosi è legata alla prevenzione di un evento fratturativo e non per trattare un dolore osseo. Altro aspetto importante da sottolineare è che, prima che la frattura si verifichi, la patologia è del tutto asintomatica.

Queste premesse sono fondamentali quando si vuol parlare di metodiche strumentali per la diagnosi di osteoporosi, in quanto l’iter diagnostico deve essere in grado di individuare una situazione di fragilità ossea asintomatica che espone un soggetto ad un alto rischio di frattura.

La resistenza dell’osso dipende da due fattori: per circa il 70% dalla sua densità e per il restante 30% dalle caratteristiche strutturali menzionate sopra; la MOC ha lo scopo di individuare situazioni di ridotta densità ossea che espongono il paziente ad un aumentato rischio di frattura, rappresenta infatti il miglior predittore del rischio di fratture da osteoporosi. Tuttavia non è il solo, infatti non è in grado di cogliere le alterazioni strutturali dell’osso che possono comunque esporre un soggetto a fratture da osteoporosi. Non è infatti infrequente che si verifichino fratture da osteoporosi in pazienti con una moc normale o solo lievemente ridotta (nel range dell’osteopenia). Per questo è fondamentale che il dato strumentale MOC venga sempre completato da una corretta valutazione clinica di un medico specialista.

La densità scheletrica (BMD) può essere valutata con varie tecniche genericamente definibili come densitometria ossea (o Mineralometria Ossea Computerizzata, MOC): la DeXA, l’indagine ultrasonografica (QUS), e la tomografia computerizzata quantitativa (qCT). La MOC valutata con tecnica DeXA è da considerarsi la tecnica di elezione nella valutazione della massa ossea. Esistono evidenze di I livello che la DeXA fornisce la migliore stima per il rischio di frattura in donne in postmenopausa. Il rischio relativo di frattura aumenta di 1,5-3 volte per ogni riduzione del 10% del valore della densità minerale ossea rispetto al picco di massa ossea raggiunto in età giovanile.

Le parti del corpo più frequentemente soggette a misurazione sono la colonna lombare e il femore prossimale che rappresentano i siti maggiormente predittivi del rischio di frattura.

Nello scegliere il giusto sito per la misurazione dobbiamo tenere conto che il Sistema Sanitario Nazionale esegue di routine la colonna prima dei 65 anni e il femore dopo i 65 anni e l’analisi più accurata è quella che riguarda entrambi i siti, soprattutto dopo i 65 anni, in quanto in questa fascia di età non è infrequente vedere un quadro di osteoporosi alla colonna con un femore in buone condizioni.

Il risultato della MOC è espresso con un indice chiamato t-score che esprime, in deviazioni standard (D.S.), di quanto la massa ossea del soggetto è ridotta rispetto al picco di massa ossea teorico in età giovanile.  Secondo l’OMS, nell’interpretare i risultati della BMD, si conviene di adottare le seguenti definizioni:

  1. La BMD normale è definita da un T-score compreso fra +2,5 e -1,0 (la BMD del paziente, si colloca cioè fra 2,5 SD sopra la media e 1 SD sotto la media di un giovane adulto sano dello stesso sesso).
  2. L’osteopenia (bassa BMD) è definita da un T-score compreso tra -1,0 e -2,5 SD.
  3. L’osteoporosi è definita da un T-score uguale o inferiore a -2,5 SD.

Secondo tutte le linee guida internazionali l’indagine densitometrica è raccomandata a tutte le donne oltre i 65 anni.

Per donne di età inferiore, o nei maschi, l’indagine è raccomandata in presenza delle seguenti condizioni:

1) patologie osteopenizzanti, tra cui le più comuni: diabete, ipertiroidismo non controllato, bronchite cronica, celiachia, insufficienza renale cronica, malattie reumatiche infiammatorie (artrite reumatoide, psoriasica, connettiviti), malattie infiammatorie intestinali (chron e rettocolite ulcerosa)

2) farmaci: soprattutto uso cronico di cortisone e farmaci utilizzati per la prevenzione del tumore della mammella (i cosìdetti inibitori della aromatasi) e del tumore della prostata, di minor impatto alcuni antiepilettici come il fenobarbital, l’uso cronico di gastroprotettori (inibitori di pompa protonia come omeprazolo, pantoprazolo etc..), alcuni farmaci antivirali soprattutto per il trattamento dell’HIV.

3) Fattori di rischio clinici: magrezza, menopausa precoce (prima dei 45 anni), fumo, familiarità per fratture vertebrali e/o femorali, abuso di alcol, cadute ricorrenti soprattutto nei pazienti anziani.

La valutazione delle variazioni della massa ossea nel tempo possono essere utili sia per monitorare l’efficacia di alcune terapie sia per individuare soggetti che stanno perdendo osso ad una velocità eccessiva. La perdita di massa ossea nelle donne in postmenopausa è dello 0.5-2%/anno e la maggior parte delle terapie incrementano la BMD dell’1-6% all’anno. Queste variazioni vanno commisurate con il cosiddetto “least-significant change” (LSC) ovvero con la variazione minima rilevabile dalla tecnica utilizzata (margine di errore della macchina). Per avere il minor margine di errore, e quindi risultati confrontabili, è fondamentale che l’esame venga effettuato sempre con lo stesso macchinario, in centri sottoposti a controlli di qualità e possibilmente con lo stesso tecnico; in tali condizioni “ideali” esso può variare dal 2 al 4%, per cui un controllo dell’indagine è generalmente giustificato solo dopo 1,5-2 anni e comunque (a parte rare eccezioni) mai prima di un anno.

Dr.ssa Federica Rondoni