Internet è veramente il “FarWeb”?

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Internet è veramente il “FarWeb”? Alcune riflessioni sul web prendendo spunto dall’omonimo libro presentato dall’autore perugino Matteo Grandi

   

Martedì scorso, nella bellissima Sala dei Notari a Perugia, il giornalista, blogger, autore e “pennivendolo” (come si autodefinisce) perugino, Matteo Grandi, ha presentato il suo libro “FAR WEB – Odio, bufale, bullismo. Il lato oscuro dei social” (Ed. Rizzoli 2017), che si può trovare in tutte le librerie o scaricare in formato digitale.

All’evento – organizzato dal Circolo dei Lettori di Perugia – erano presenti il Sindaco di Perugia, Andrea Romizi ed il giornalista, conduttore TV Andrea Scanzi, i quali hanno piacevolmente “interrogato” l’Autore sui temi trattati in Far Web.

Il libro – che ho letteralmente “divorato” – è molto interessante e scritto in una prosa piacevolissima.

Ma soprattutto è un trattato intelligente, scritto da un Autore intelligente.

Esso esamina – con un’analisi attenta quanto approfondita – il fenomeno dei Social Network.

Fenomeno il quale – come ha evidenziato Grandi – seppur nato circa una quindicina di anni fa, dal 2010 ha avuto un incremento esponenziale, quanto incontrollato.

L’Autore analizza nel libro – in maniera attenta ed approfondita – le distorsioni, gli abusi dei social, in buona sostanza il fenomeno dei cd. “haters”, il bullismo telematico.

E fa alcuni esempi di cronaca, analizzando i meccanismi sociologici e psicologici che inducono persone apparentemente “normali” ad avere nel web comportamenti violenti che – quantomeno apparentemente – non hanno nella vita reale.

In pratica le dinamiche che potrebbero trasformare ognuno di noi in un cd. “leone da tastiera”, un “hater”.

Lasciando alla competenza di Grandi l’interessantissimo approfondimento sui social, voglio fare alcune riflessioni sul web in generale, di cui i Social Network sono solo uno – ancorché importante – degli aspetti.

Inizialmente internet – sull’onda di quell’incessante processo di globalizzazione partito negli anni ’80 – nacque come mezzo di comunicazione telematica.

Fu creato per mettere in contatto istantaneo tutto il globo: da qui il nome “Internet” (rete internazionale) e l’acronimo “World Wide Web”.

Tant’è che i primi esperimenti furono tra computer universitari agli antipodi che – utilizzando la rete telefonica – dialogavano tra loro e, subito dopo, nacquero i primi server di posta elettronica.

Successivamente, con la nascita dei primi siti web, ci si rese conto dell’enorme potenziale conoscitivo, ma soprattutto commerciale che poteva avere la Rete.

Da lì fu un proliferare esponenziale di pubblicità, informazione, e-commerce ecc., fino ad arrivare – nei primi anni 2000 – ai Social Network.

Ora, con i social, si può interagire con un numero illimitato di persone, anche agli antipodi comodamente seduto al calduccio ed in pantofole davanti al computer di casa o dal proprio palmare nella metro o in fila al semaforo.

Altro recente fenomeno del web da non sottovalutare è il cd. “deep web”: tutti quei siti segreti o nascosti in fondo (“deep”) alla rete, non rintracciabili, se non dagli adepti.

Siti che mettono in relazione comunità/utenti segreti – per lo più illegali – per svariati scopi prevalentemente criminali.

Praticamente le società segrete del terzo millennio: dalla pedopornografia, agli “snuff video”, alla vendita di materiali vietati (stupefacenti, esplosivi, armi, ecc.), al commercio di organi/esseri umani, al terrorismo/eversione, all’hackeraggio, allo spionaggio industriale.

Parimenti ha preso piede la valuta del web: il cosiddetto “bitcoin”.

Nata come moneta virtuale per i commerci nel deep web è ora emersa come valuta vera e propria trattata nei principali mercati azionari.

E la discussione se Internet ed i suoi derivati sia bene o male tiene banco da diversi anni.

E soprattutto nei Social Network di cui Grandi parla mirabilmente nel suo libro.

Essendo il sottoscritto “malato” di tecnologia – in via di principio – non posso che applaudire ogni innovazione.

Stigmatizzo assolutamente tutti coloro che, con spirito acritico, contestano e si oppongono ad ogni novità, con atteggiamento da inquisitori medievali.

Certo è che Internet (e tutti i suoi derivati, compresi i Social Network) non è di base né buona, né cattiva.

É solo un mezzo, neutro, come ogni mezzo. Infatti io la paragono ad un automobile.

L’automobile, infatti, è un mezzo ormai indispensabile per la vita di tutti i giorni, che rende possibile gli spostamenti per svariati nobili motivi: lavoro, studio, emergenze, svago, ecc.

Con prudenza e rispettando il Codice della Strada, l’auto è un mezzo assolutamente virtuoso.

Ma se l’automobile è guidata da un incompetente, da un incosciente o da un criminale assassino e provoca un incidente – anche mortale – non è l’auto in sé ad essere uno “strumento del male”, ma chi la guida.

Lo stesso si può dire per Internet e, di conseguenza, i suoi strumenti (e-mail, siti web, Social Network, etc.).

Se è usata a fini conoscitivo/culturali ovvero d’informazione (Wikipedia, quotidiani online) è sicuramente uno strumento straordinario di progresso.

Attualmente su Internet si può trovare qualsiasi nozione dello scibile umano.

Come parimenti è uno straordinario strumento di progresso rendendo più veloci e certe le comunicazioni, per lavoro o per socializzare (e-mail, PEC, chat, social).

Se, invece, è utilizzata per fini non nobili: dalla più lieve indiscrezione ai reati informatici, furto d’identità, truffe, stalking, pedopornografia, commerci illegali, terrorismo, insulti, bullismo.

Allora è uno strumento maligno, ma, come l’automobile, dipende da chi l’utilizza e dalle sue intenzioni.

Ed il parallellismo automobile/internet vale anche per i giovani: fareste guidare la vostra auto ad un bambino di dieci anni?

Sicuramente no, ma lo portereste con voi.

Internet è la stessa cosa: un bambino non dovrebbe mai accedere ad Internet da solo, ma sempre accompagnato da un adulto.

Se dovessimo abolire o limitare Internet o i Social Network, per limitarne gli usi distorti, allora, con lo stesso ragionamento, dovremmo abolire le automobili e, soprattutto, i TIR per eliminare i numerosi morti sulla strada…

Mi fanno sorridere tutti quelli che, con sprezzante snobismo dichiarano che non utilizzano i Social Network, perché vogliono mantenere la propria privacy.

Come se essi avessero vita propria!

Mentre sono un semplice mezzo e come utilizzarli dipende da ognuno di noi.

Basta non pubblicare notizie personali, fotografie o altri dati personali e la privacy è mantenuta.

Nessun Social Network obbliga a pubblicare i propri dati: per aprire un profilo è sufficiente un nome (anche pseudonimo), una password ed un indirizzo e-mail.

Tutto il resto è opzionale e lasciato alla discrezione dell’utente.

Certo che se si inseriscono tutti i propri dati personali in chiaro, comprese le parentele fino al quinto grado.

Se si pubblica un diario della propria giornata in “tempo reale”, corredato di luoghi e fotografie, anche personalissime.

Poi non ci si può dolere della perdita della privacy e dell’invadenza degli altri.

Sicuramente non è colpa del Social Network, ma del “somaro” che l’utilizza!

È proprio come la vita reale: non bisogna “mettere in piazza” gli affari propri.

Per mantenere la propria privacy non bisogna starsene tappati dentro casa, senza parlare con nessuno, ma semplicemente non rivelare ad altri i fatti propri.

Ma questo dipende anche da un altro brutto vizio molto diffuso: l’assoluta mancanza di misura e senso critico.

Sulla mancanza di misura rimando a Far Web di Matteo Grandi che analizza a fondo e con competenza il fenomeno di questo mondo virtuale in cui vi è l’illusione che tutto sia permesso.

Che si possa dare liberamente sfogo agli istinti più biechi, facendola franca.

Sulla mancanza di senso critico, invece, va sottolineato che la maggior parte delle persone quando legge un articolo o un link su un Social Network o quando sente una notizia in TV, non si chiede se sia verosimile o meno, se sia possibile o meno.

In buona sostanza non verifica se sia VERA o meno.

Acriticamente la accetta e la condivide, diffondendola oppure la rifiuta a priori, magari solo per preconcetti di tipo politico o ideologico.

Invece nulla va preso per oro colato, tutto va valutato, “pesato”.

Più volte me la sono presa con le cd. “catene di S. Antonio”: tutte quelle notizie “strappalacrime”, su bambini bisognosi di trasfusioni o efferati abusi su animali, magari corredati da foto raccapriccianti da “far girare per sensibilizzare l’opinione pubblica”.

Ho più volte esortato tutti – prima di trasmettere la notizia, intasando i server email o i profili social – a verificare i fatti.

Internet, infatti, non serve solo ad impicciarsi dei fatti degli altri, farsi commuovere dalla “bufala” e – con un semplice click – rispedirla, pacificando con tale automatico ed acritico atto la propria coscienza civile, sentendosi un buon cittadino.

Internet serve soprattutto (uso virtuoso) a verificare la notizia.

Vi sono innumerevoli siti che smascherano le cd. “bufale”: basta una semplice ricerca su Google.

Invece la verifica critica è una cosa che in pochi fanno, purtroppo.

Per fortuna ci sono le persone come Matteo Grandi che ci forniscono le “istruzioni per l’uso”

Avv. Gian Luca Laurenzi