Elezioni 2018: il cambiamento in Umbria è partito da Romizi

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Elezioni 2018: il cambiamento in Umbria è partito da Romizi. Lo slittamento a destra della regione, è iniziato quando Perugia non ha riconfermato la fiducia a Wladimiro Boccali

   

Se le elezioni politiche del 4 marzo scorso hanno sancito lo spostamento del cuore d’Italia verso destra, a Perugia il vento di cambiamento soffia ormai da un po’.

La sorpresa di vedere l’Umbria blu in tutte le cartine d’Italia mostrate nei telegiornali nazionali al risveglio dalle Politiche del 2018, non può non richiamare alla mente l’impresa compiuta a Perugia da Andrea Romizi.

Era marzo 2014. Perugia iniziava a entrare nel vivo della competizione elettorale.

Il 25 maggio la cittadinanza sarebbe stata chiamata a esprimersi sul nuovo sindaco ma l’inizio della primavera pareva portare disordine e caos nella politica del capoluogo.

Il centrosinistra, alle prese con divisioni interne al partito a livello nazionale, anche in Umbria dimostrava poca coesione: non piena fiducia al candidato sindaco uscente, Wladimiro Boccali, ma primarie per decretare se davvero dovesse essere di nuovo lui il cavallo su cui puntare. L’esito ha confermato poi la volontà della maggioranza di affidarsi nuovamente a Boccali ma gli equilibri del PD sembravano ormai compromessi.

Il centrodestra era in balia dell’abbandono: l’avvocato Corrado Zaganelli, a meno di due mesi dalle elezioni, ha annunciato il ritiro della sua candidatura, pare a causa del mancato appoggio di Fratelli d’Italia e Nuovo Centro Destra.

L’opposizione sembrava aver perso prima ancora di scendere in campo: se in città erano forti i malumori nei confronti dell’amministrazione comunale in carica, il centro destra pareva non saper approfittare del malcontento. Si era mostrato diviso e, con il ritiro della candidatura di Zaganelli dopo qualche giorno dall’annuncio, anche poco affidabile

E’ agli inizi di aprile, non molto tempo prima del termine ultimo per la deposizione delle liste elettorali, che la coalizione di destra ha scelto di puntare su un giovane avvocato perugino, Andrea Romizi, classe 1979, già consigliere comunale di opposizione nelle due precedenti amministrazioni, seduto negli scranni di Forza Italia.

Cresciuto negli Scout, faccia pulita, da bravo ragazzo, che nel panorama urlante della politica attuale si distingue per educazione e pacatezza.

Poco dopo la circolazione della notizia della sua candidatura a sindaco, Romizi non ha esitato a esprimersi sul suo profilo Facebook, invaso da tanti “in bocca al lupo” e congratulazioni da parte dei suoi amici virtuali e non.

«Mi piacerebbe che nei prossimi giorni non si parlasse tanto e solo del mio nome, frutto di una difficile e accidentata convergenza tra parti, ma del progetto che da qui nasce. Romizi sì o Romizi no non è importante. Quello che conta è ciò che, pur consapevole dei miei limiti, ho accettato di rappresentare: la ferma e diffusa volontà ti tante persone di rifondare Perugia, economicamente, socialmente e culturalmente. Per questo ho deciso di esserci», queste le sue prime parole social da candidato sindaco della coazione di centrodestra.

Da quel momento Romizi è diventato l’alfiere del cambiamento, della rinascita di Perugia, città vessata da oscure storie di cronaca che, a partire dal 2007, anno del delitto Kercher, l’hanno sbattuta sulle prime pagine dei quotidiani nazionali e d’oltreoceano, presentandola al mondo come la capitale della droga.

Romizi dunque come la novità che si andava a contrapporre a quella che più volte è stata definita “vecchia guardia” di sinistra, della quale Boccali è stato forse considerato dai più l’ultimo rappresentante: Romizi era il cambiamento, o meglio, una tra le possibilità di cambiamento.

Non è stato un duello a due, almeno, non lo è stato subito.

A fronteggiarsi per ottenere la poltrona più comoda (o forse bollente) di Palazzo dei Priori, oltre al sindaco uscente Boccali, al forzista Romizi, che è riuscito a mettere d’accordo il fronte di destra, anche la candidata pentastellata Cristina Rosetti, la deputata di Scelta Civica Adriana Galgano, l’allora presidente di “Italia Nostra Perugia” Urbano Barelli, sostenuto dalle due liste civiche “Perugia Rinasce” e “Crea Perugia” e infine Dramane Diego Waguè, perugino d’azione e volto noto alla politica cittadina, seduto in Consiglio Comunale dal 1999 al 2004, prima con Rifondazione Comunista, poi con i Democratici, per passare in seguito alla Margherita e infine tra i banchi del PD, del quale lui stesso è stato membro fondatore.

Una figura da non sottovalutare quella dell’Obama perugino, che, con il distacco dal Partito Democratico, potrebbe forse aver contribuito a segnare la fine del monopolio di sinistra nel capoluogo umbro.

Una battaglia prima del duello finale

Chiuse le urne il 25 maggio a tarda sera, lo spoglio ha riservato una sorpresa per quella che, dalla nascita della Repubblica Italiana fino a quel momento, era stata una delle roccaforti rosse d’Italia.

Boccali si ferma al 46.5% e al secondo posto si piazza il candidato di centro destra Andrea Romizi, col 26.3% delle preferenze.

Il ballottaggio forse era nell’aria: in città si respirava la voglia di cambiare e forse, anche dalla maggioranza dei sostenitori della sinistra, Boccali non era visto come la novità ma come l’ultimo dei vecchi.

Se i più avevano messo in conto di dover tornare alle urne qualche settimana più tardi, di certo la sorpresa è stata nel constatare che a scontrarsi con il candidato del PD sarebbe stato proprio colui che portava la bandiera di Forza Italia.

I giorni che hanno seguito il primo turno elettorale sono serviti per riorganizzare le forze in vista dello scontro finale e non sono di certo mancati colpi di scena nel nuovo panorama di alleanze che andava delineandosi.

La candidata del Movimento 5 Stelle, l’avvocato Cristina Rosetti, non ha legato il suo nome a nessuno degli sfidanti ancora in corsa per Palazzo dei Priori, non rilasciando indicazioni di voto precise ai suoi seguaci.

Se la pentastellata è rimasta a osservare lo scontro cittadino tra destra e sinistra, gli altri sconfitti del primo turno hanno deciso di appoggiare Romizi al ballottaggio.

Non ha destato troppo stupore la decisione dell’ambientalista Barelli ma altrettanto non può dirsi della scelta di Waguè: fondatore del PD a livello nazionale e amico del sindaco uscente Boccali, il candidato della lista “Idee per Perugia” ha scelto di siglare un accordo con il forzista Romizi.

Il centro destra si sarebbe dunque presentato al secondo turno elettorale forte di nuove alleanze ma la sinistra a Perugia ha sempre giocato in casa e l’idea di correre da soli contro uno schieramento più ampio non deve aver allarmato poi molto i sostenitori del sindaco uscente.

Perugia è tornata al voto l’8 giugno con la sinistra che sentiva di aver perso, se non ancora la guerra, sicuramente una battaglia, e la destra invece che iniziava a credere nell’impresa storica di espugnare l’acropoli.

Il giovane avvocato forzista, dopo una campagna elettorale lontana dal chiasso tipico della scena politica contemporanea, è riuscito a raggiungere il 58.1% dei consensi dei perugini, conquistando così la poltrona di primo cittadino e lasciando all’avversario non solo l’amaro della sconfitta ma il fardello di essere stato l’unico candidato di centrosinistra, fino ad ora, a non uscire vittorioso dal duello elettorale per la corsa a Palazzo dei Priori.

L’acropoli espugnata: accuse e meriti

Dopo settanta anni di alternanza di governi di centro sinistra, l’8 giugno 2014, per la prima volta nella storia della città, un candidato di destra è diventato sindaco di Perugia.

Una telefonata fatta poco dopo la mezzanotte dal sindaco uscente al suo successore neoeletto ha sancito l’epilogo di una battaglia durata mesi.

Da quel momento è iniziata una frenetica corsa alla ricerca di un colpevole da mettere alla gogna mediatica: «E’ tutta colpa di Boccali», tuonavano in molti, sia nel mezzo di qualche chiacchierata da bar che sui social network.

Era diventato un ritornello talmente ripetitivo e ricorrente che, nel periodo delle elezioni e in quello successivo, alcuni utenti avevano creato delle pagine su Facebook proprio per ironizzare su quella frase pass-partout pronunciata da tanti, forse senza nemmeno una valutazione critica a suo supporto.

Il primo a non sottrarsi dalle responsabilità della sconfitta è stato lo stesso Wladimiro Boccali che, in un’intervista rilasciata a Repubblica ha dichiarato: «Non sono tra quelli che danno la colpa agli elettori, sono io che ho sbagliato. Abbiamo messo in campo uno progetto innovativo, di respiro internazionale, ma non siamo riusciti a costruire una connessione sentimentale con il nostro popolo».

Colpa dunque di un progetto che la sinistra non è riuscita a comunicare nel modo giusto alla cittadinanza, o forse una sconfitta dovuta al grave periodo di recessione che viene dai più imputato alla mala gestio della giunta comunale in carica, o ancora voto di protesta nei confronti di un centro sinistra che non ha saputo rinnovarsi.

Perugia città rossa, roccaforte della sinistra da sempre, Perugia patria dell’ideologia che prevale sui sentimenti, sulle opinioni: Perugia che, all’alba del 9 giugno 2014 sembrava diversa.

Per alcuni patria irriconoscibile e traditrice di un’antica alleanza sancita senza prove, per altri città che aveva alzato la testa e aveva trovato il coraggio di scegliere senza preconcetti.

Molto si è sentito parlare di voto di protesta, di cittadini esausti di una città caduta troppo in basso in seguito a scandali e oscure storie di droga, una città che la sinistra non era riuscita a far riemergere dal vortice mediatico nel quale, suo malgrado, era stata scaraventata.

Certamente sorprende che, qualora davvero sia stato un voto di protesta, questo non sia ricaduto a favore di coloro che sulla protesta hanno fondato un intero movimento, ovvero i pentastellati di Beppe Grillo.

Risulta difficile pensare che quegli elettori legati da sempre alla fede di sinistra, possano aver oltraggiato il proprio credo al punto tale da lasciare il segno della matita copiativa sopra il simbolo del partito di Silvio Berlusconi.

E se in realtà non fosse stato solo il risultato di una protesta?

Se, a discapito di una sinistra che non ha saputo comunicare i propri intenti, la linea pacata ma innovativa di Romizi, che ha ampliato i confini del centro destra, avesse invece conquistato un ampio spaccato di elettorato, pur lontano dall’ideologia cui è legato il candidato forzista?

Elena Sofia Baiocco